Nei primi anni novanta, Adrian Belew fece visita a Fripp in Inghilterra, e gli espresse il suo grande interesse di suonare ancora coi King Crimson. Fripp si mostrò subito d’accordo con Belew, e finito il tour con David Sylvian, cominciò a riunire il gruppo, facendo anche qualche modifica: oltre a Belew e Levin, chiamò Trey Gunn alla Chapman Stick e Jerry Marotta alla batteria, subito sostituito da Pat Mastelotto. Bill Bruford rientrò come secondo batterista. Fripp spiegò questa insolita formazione a sei, come un suo personale tentativo di creare un “doppio trio” (composto da due chitarristi, due bassisti e due batteristi), allo scopo di esplorare tutte le diverse possibilità in cui potevano spaziare i King Crimson. Bruford, però, rivelò in seguito che Fripp chiarì subito a tutti che la leadership creativa del gruppo sarebbe stata indiscutibilmente sua, e che questa era una delle condizioni necessarie per entrare nella nuova formazione. (Fonte: Wikipedia)
di Roberto Ceccarelli
Quando ormai pareva definitivamente chiusa l’esperienza King Crimson con “Three of a Perfect Pair” del 1984, Robert Fripp riaggrega il gruppo e nel 1995 viene pubblicato “Thrak”. L’organico si amplia con le aggiunte di un secondo batterista (Pat Mastelotto) da affiancare a Bruford ed un virtuoso dello Stick e War guitar (Trey Gunn) insieme a Tony Levin impegnato anche al basso e contrabbasso. Si tratta quindi di un sestetto o doppio trio necessario per eseguire dal vivo tutto il lavoro di orchestrazione degli strumenti proposto in studio. Il disco è diverso dal trittico degli anni ’80: torna il mellotron e si fa sentire l’uso dei campionatori guidati dai quattro strumenti a corda di Fripp, Belew, Levin e Gunn, che fungono quindi anche da master keydoard. Ciò significa che, ascoltando il CD, è impossibile stabilire chi suona cosa quando sono presenti, ad esempio, gli archi o addirittura il fagotto. Si respira un po di aria progressive stile Red ma con i dovuti aggiornamenti. Sembra quasi un “album concept” con temi ricorrenti in un’alternanza di momenti energici, atmosfere rarefatte e sperimentali, melodie cantabili e struggenti. Come ogni disco dei King Crimson, necessita di più ascolti e grande attenzione per poter coglierne tutte le potenzialità ed il lavoro di arrangiamento.
L’album apre con lo strumentale “Vroom”: breve introduzione con gli archi del mellotron che fanno da preludio ad un pieno molto energico in stile “Red” intervallato da due parti di arpeggio di Fripp con la chitarra, elegante e cantabile; si sovrappone il basso di Levin che detta la melodia per poi riprendere il pieno iniziale. La seconda traccia “Coda: Marine 475”, anch’essa strumentale, è legata alla prima in una vertiginosa discesa cromatica di assieme, con la chitarra di Fripp che disegna una melodia graffiante e drammatica in crescendo. Segue “Dinosaur” che può considerarsi il secondo brano: introduzione di mellotron con il registro degli archi che introduce un’atmosfera rock dal sapore quasi acido, ma quando si presenta la strofa cantata, d’improvviso cambia il registro e la melodia è quasi dolce ed orecchiabile ma molto ben costruita nella fase di preparazione al ritornello. Molto bella la linea del basso, avvolgente ed elegante. Con il ritornello si torna all’atmosfera più energica nell’alternanza di momenti forti e altri più rarefatti, una variazione melodica sul cantato ed uno stacco inaspettato con delle “posizioni” di chitarra molto pulita nel timbro che introducono l’intervento del fagotto doppiato dal basso, quindi archi che fanno da accompagnamento alla linea melodica del contrabbasso con l’archetto: atmosfera tardo-romantica dal sapore quasi sinfonico. Alcuni secondi di silenzio e si riprende con il pieno di energia e la chitarra di Fripp che si riconosce per i “grappoli” di note dall’intercedere graffiante che riprendono il ritornello molto intenso. In chiusura il pieno senza cantato, le note imprevedibili della chitarra di Belew, si insinuano gli archi del mellotron, Fripp prende il posto di Belew per chiudere assieme agli archi con una tremenda svisata di chitarra che s’interrompe bruscamente ricordando quella di “The Letters” in “Islands”. La successiva “Walking On Air” è una pacata e dolce ballata in cui il timbro vocale di Belew si adegua perfettamente all’atmosfera in una melodia orecchiabile ed articolata. Intervengono diversi strumenti elegantemente armonizzati sia nell’accompagnamento alla voce che negli strumentali. “B’ Boom” è un’altra traccia strumentale che inizia con un tappeto spettrale tipicamente “Frippiano” a cui si aggiungono Bruford e Mastelotto.
I ruoli sono definiti: Mastelotto segue una base percussionistica sulla quale Bruford si “diverte” alla batteria con l’inconfondibile rullante che batte laddove non te lo aspetti nella irregolarità dei tempi. Verso la metà del componimento sparisce il tappeto elettronico di Fripp e restano protagonisti i due batteristi con i loro virtuosismi. Nel finale torna il tappeto di accompagnamento che introduce un’altro strumentale (“Thrak”) dalla difficile descrizione: le parti suonano sfalsate come una specie di canto e controcanto in un’atmosfera da incubo, ci sono elementi altamente virtuosistici in cui tutti i musicisti dimostrano la tecnica sopraffina nell’eseguire parti di free-jazz, classica contemporanea, armonie fuori dal sistema tonale. Siamo in territorio espressivo al massimo della trasgressione: un vero pugno nello stomaco! Nel finale resta un tappeto spaziale dalle timbriche straordinarie che “prepara” l’orecchio alla brevissima e dolcissima “Inner Garden I” in cui la voce di Belew disegna una melodia struggente accompagnata dall’arpeggio della chitarra elettrica, un leggerissimo tappeto che sembra il suono delle onde del mare ed una specie di oboe lontano. Neanche il tempo di abituarsi a questa atmosfera sognante che inizia una nuova traccia totalmente diversa: “People”. Il brano inizia con un accattivante duo ritmico basso e batteria dove il rullante suona sempre spostando l’accento. Si inserisce la strofa cantata, interventi delle chitarre, dello Stick di Gunn molto misurati ed eleganti: tutto molto interessante fino al ritornello. Qui abbiamo una caduta di stile nell’esecuzione di una linea melodica banale e prevedibile. La batteria non all’altezza con un risibile 4/4 senza alcun abbellimento.
Finalmente nel successivo breve strumentale e nella strofa, si ritorna al giusto livello; ricaduta con la ripetizione dell’inascoltabile ritornello che lascia spazio ad un’altro strumentale dove si sbizzarriscono Fripp, Belew e Gunn con i loro virtuosismi, supportati dalla notevole sezione ritmica di Levin, Bruford e Mastelotto. Ripresa del ritornello (per fortuna l’ultima!) che lascia spazio al lungo strumentale finale tutto da godere con tantissimi interventi virtuosistici. Dal basso maestoso di Levin agli intrecci pazzeschi delle batterie di Bruford e Mastelotto, la grandezza espressiva di Fripp, Belew e Gunn che si armonizzano perfettamente grazie alla loro maestria. Alla fine resta il tappeto spaziale di Fripp che, in dissolvenza, si collega con quello di “Radio I” dall’atmosfera misteriosa a metà strada tra l’atonalità e l’elettronica pura. Il brano seguente (One Time) è molto pacato ed interlocutorio. Una sezione ritmica delicata con la batteria appena accennata, il basso avvolgente, le chitarre dai suoni puliti e la melodia dolce e cantabile della voce di Belew. Molto elegante lo strumentale dalla melodia struggente nella fase centrale con i suoni spaziali della chitarra di Fripp connessa ai campionatori. Le seguenti “Radio II” e “Inner Garden II” sono il richiamo alle due tracce sinonime precedenti che confermano quanto detto a proposito dell’idea di album “concept”. Il successivo “Sex Sleep Eat Drink Dream” è un brano dal sapore vagamente psichedelico con degli strumentali furiosi ed altamente virtuosistici accompagnati da una sezione ritmica il cui intercedere è totalmente diverso rispetto alla strofa ed il ritornello. Siamo in una condizione strutturale diametralmente opposta allo stile New Wave. Lo strumentale “Vroom Vroom” parte con una breve introduzione di mellotron che richiama l’inizio del disco per poi svilupparsi similmente al brano “Red” ma meno geometrico. Lo stop centrale con la chitarra ritmata di Fripp apre alla linea melodrammatica del basso di Levin doppiato da Gunn con la War guitar e Belew che guida con la chitarra il timbro del mellotron. Impressionante il lavoro ritmico dei due batteristi. La chiusura con la linea del basso e quella delle chitarre che procedono per modo contrario.
Il disco si chiude con “Vroom Vroom Coda” che, dopo una breve introduzione dall’atmosfera spaziale, si scatena in un’apoteosi dell’improvvisazione sulla base delle linee che procedono per modo contrario. La complessità e la ricchezza delle parti la si può apprezzare ancor più osservando il sestetto nelle esibizioni live dove si rasenta quasi la perfezione esecutiva. L’anno successivo (1996) viene pubblicato “Thrakattak”; album interamente strumentale realizzato dal sestetto assemblando una serie di “improvvisazioni” live. L’opera è di una complessità impressionante poiché gli stilemi sono inusuali sia dal punto di vista melodico-armonico che ritmico. Non esistono melodie orecchiabili, la struttura armonica non prevede nessun rapporto tensione/distensione attraverso il quale siamo abituati a dare significato al discorso musicale convenzionale (tonale). Ci troviamo in pieno universo atonale, tradizione delle avanguardie colte del ‘900 e del free-jazz, con l’intervento di tantissimi strumenti musicali ovviamente campionati e suonati attraverso le chitarre, stick e war guitar rispettivamente di Fripp, Belew, Levin e Gunn. Bruford alla batteria, percussioni e marimba, Mastelotto alla seconda batteria. Timbricamente il risultato è strabiliante per l’assortimento e la qualità dei suoni in un’alternanza di “fortissimi”, ricchi di strumenti che s’intrecciano in iperbolici fraseggi tra free-jazz, tradizione seriale della dodecafonia, politonalità, neo-classicismo, l’elettronica, ecc. – e momenti di respiro rarefatti di atmosfere spettrali e cosmiche. Questi momenti introspettivi, in cui compaiono vari strumenti come il pianoforte, marimba, cori, archi, chitarre, contrabbasso, ecc, sarebbero adatti come accompagnamento sonoro ad una esposizione di opere di Rothko. Per apprezzare le opere di Rothko è necessaria una certa sensibilità ed un lungo percorso di conoscenza storica delle arti figurative, visto il linguaggio espressivo fortemente astratto. Analogamente per ascoltare e comprendere “Thrakattak” bisogna avere l’orecchio abituato ad un diverso tipo di scrittura: insomma, senza una coscienza percettiva equilibrata sarebbe difficile la fruizione di questo disco (tra i più trasgressivi della storia del Rock) con il quale si conclude la quarta fase.