Il 6 dicembre del 1994 fa moriva uno dei più grandi interpreti del cinema mondiale
“Io accetto un film o non lo accetto in funzione della mia concezione del cinema. E non si tratta qui di dare una definizione del cinema politico, cui non credo, perché ogni film, ogni spettacolo, è generalmente politico. Il cinema apolitico è un’invenzione dei cattivi giornalisti. Io cerco di fare film che dicano qualcosa sui meccanismi di una società come la nostra, che rispondano a una certa ricerca di un brandello di verità. Per me c’è la necessità di intendere il cinema come un mezzo di comunicazione di massa, così come il teatro, la televisione. Essere attore è una questione di scelta che si pone innanzitutto a livello esistenziale: o si esprimono le strutture conservatrici della società e ci si accontenta di essere un robot nelle mani del potere, oppure ci si rivolge verso le componenti progressiste di questa società per tentare di stabilire un rapporto rivoluzionario fra l’arte e la vita.” (Gian Maria Volontè)
di Alessandro Ceccarelli
Parlare di Gian Maria Volontè significa affrontare il significato del mestiere di attore, significa ripercorrere la vita di un artista inquieto, rigoroso, rissoso e soprattutto straordinariamente umano. Sicuramente uno dei più grandi interpreti del cinema mondiale. Volontè nasce a Milano il 9 aprile del 1933 ma cresce a Torino. Il padre è un milite della Repubblica di Salò, la madre appartiene ad una benestante famiglia di industriali milanesi. La sua è un’infanzia difficile: il padre è arrestato dai partigiani e le condizioni economiche della sua famiglia diventano improvvisamente precarie. Gian Maria a soli 14 anni è costretto ad abbandonare la scuola per poter lavorare e aiutare la madre. In questo periodo nasce nel ragazzo il profondo amore per la letteratura in particolare per le opere di Camus e Sartre. A 16 anni lavora in una compagnia teatrale itinerante ricoprendo i ruoli di aiuto guardarobiere e segretario. Il giovane Volontè si appassiona al teatro e nel 1954 si iscrive all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico di Roma.
Durante gli studi si fa notare ben presto come il giovane allievo dotato di maggiore talento. Nel 1957 avviene il suo debutto a teatro per la regia di Franco Enriquez. La sua attività diventa subito frenetica: lavora moltissimo per la televisione e per il teatro recitando testi di Dostoevskij, Shakespeare e Goldoni. Anche la critica ufficiale si accorge delle sue indubbie qualità recitative. Nel 1960 debutta per il cinema con “Sotto dieci bandiere” di Duilio Coletti. Poi lavora con Luigi Comencini, Valerio Zurlini e nel 1962 ottiene il ruolo da protagonista in “Un uomo da bruciare” di Valentino Orsini e i fratelli Taviani. Volontè interpreta con grande partecipazione emotiva il sindacalista Salvatore Carnevale. Nel 1964 arriva la consacrazione grazie alla sua partecipazione al western di Sergio Leone “Per un pugno di dollari”. Volontè disegna con straordinaria efficacia la figura di un bandito messicano sadico, dedito ad alcol e droghe. L’anno seguente è sempre con Leone nel seguito “Per qualche dollaro in più”. Ormai è un attore famoso e richiesto e può permettersi di scegliere con cura ruoli e film.
Il suo impegno politico e civile è noto ed “esplode” con prepotenza nel 1969 grazie a “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” di Elio Petri. La situazione politica e sociale italiana è allarmante: dalla bomba di piazza Fontana, all’autunno caldo, al movimento studentesco, il Paese sembra sull’orlo della guerra civile. Il film di Elio Petri – “Volevo fare un film sulla polizia, ma a modo mio”- è un colpo durissimo ad uno dei simboli del potere: le forze dell’ordine. E proprio in quel periodo il commissario Luigi Calabresi era nel mirino di Lotta Continua per la vicenda della controversa morte dell’anarchico Pinelli. Il regista e lo sceneggiatore Ugo Pirro disegnarono la figura di un commissario di polizia molto simile a quella di Calabresi.
Il successo del film è straordinario, la caratterizzazione di Volontè è probabilmente la più celebre della sua carriera. Il film si aggiudica due Oscar per il miglior film straniero e per la sceneggiatura originale. Inoltre riceve dei riconoscimenti a Cannes, due David di Donatello, un Golden Globe e tre Nastri d’Argento. Gian Maria Volontè è ormai un divo del cinema italiano. La carriera dell’attore entra nella fase della maturità. I più grandi registi lo vogliono a tutti i costi. Volontè lavora con Francesco Rosi in “Uomini contro” (1970), un lucido affresco sulla barbarie della guerra e nello straordinario e commovente “Sacco e Vanzetti” (1971) di Giuliano Montaldo. In questo dramma, Volontè raggiunge un altro vertice recitativo della sua carriera con il personaggio di Bartolomeo Vanzetti che, insieme con Nicola Sacco, fu ingiustamente condannato a morte negli Stati Uniti nel 1927.
Nel 1972 con “Il caso Mattei” di Francesco Rosi, Gian Maria Volontè tocca probabilmente l’apice artistico e creativo della sua professione. L’attore si cala totalmente nella figura di Enrico Mattei da impressionare la critica internazionale. Ogni particolare della personalità del fondatore dell’Eni è riprodotta dal genio dell’attore: espressioni, toni della voce, aspetti del carattere e delle sue gestualità. La galleria dei personaggi non si ferma e sempre nel 1972 lavora per Marco Bellocchio in “Sbatti il mostro in prima pagina”, una dura critica al mondo del giornalismo; torna con Francesco Rosi per “Lucky Luciano” (1973) e con Giuliano Montaldo in “Giordano Bruno” (1973). Gian Maria Volontè è considerato dalla critica progressista come il miglior attore drammatico del momento. Negli anni Settanta lascia il segno partecipando a film come
“Il sospetto” (1975) di Maselli, “Todo modo”(1976) di Elio Petri, in cui interpreta la figura dell’onorevole Aldo Moro e altre due pellicole di impegno politico e civile: “Cristo si è fermato ad Eboli” (1979) di Francesco Rosi e “Ogro” di Gillo Pontecorvo. La sua iper-attività – nel 1975 si era iscritto al Partito Comunista, i suoi lavori teatrali uniti al crescente impegno politico di vicinanza con la sinistra extraparlamentare – cominciò ad intaccare la sua salute sino ad una serie di crisi cardiache.
Negli anni Ottanta soffre anche di una profonda depressione: il cinema non sembra offrirgli parti degne della sua arte. Partecipa al mediocre “Il caso Moro” (1986) di Giuseppe Ferrara, in cui la sua interpretazione dello statista Dc è straordinaria; al debole “Cronaca di una morte annunciata (1986) di Francesco Rosi e in “Tre colonne in cronaca” (1987) di Luigi Comencini.
Il suo ultimo capolavoro recitativo rimane “Porte aperte” (1990) di Gianni Amelio, tratto dal romanzo di Leonardo Sciascia. Nonostante i frequenti litigi con il regista, Gian Maria Volontè interpreta magistralmente il ruolo di un giudice che si batte contro la pena di morte durante il fascismo.Nel 1991 riceve il Leone d’Oro alla carriera a coronamento di oltre 35 anni di impegno per il cinema e per il teatro. Nel 1993 è contattato dal regista The Angelopoulos per il film “Lo sguardo di Ulisse”. Durante le lavorazioni è colpito da un infarto e deve rinunciare alla parte. Al suo posto è chiamato l’attore statunitense Harvey Keytel. Gian Maria Volontè muore a Florina, in Grecia, il 6 dicembre del 1994. I suoi funerali si sono svolti a Velletri, a non molti chilometri da Roma, sua ultima dimora.
RICORDI E RIFLESSIONI SU GIAN MARIA VOLONTE’
“L’ho conosciuto a Roma, nei primi anni ’70, a Trastevere, dove lui abitava con Armenia Balducci. Certamente avevo una grande simpatia per la sua istrionica bravura e, in particolare, per il fatto che era diventato una specie di carattere emblematico della sinistra in quegli anni, per l’interpretazione, da noi molto caldeggiata e forzata, che aveva dato della vicenda Pinelli-Calabresi in Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto. Volontè era un attore molto bravo”. (Adriano Sofri)
“Ho conosciuto Gian Maria Volontè nel 1967: lavoravo come aiuto regista per Gianni Puccini nel film I sette fratelli Cervi e lui era il protagonista. Nel corso degli anni ho cercato di far coincidere l’immagine del Volontè di allora a quello che avevo conosciuto dopo, girando con lui Porte Aperte come regista. Invano devo ammettere. L’immagine che conservo di lui è quella di un uomo mite, tanto che non riuscivo a credere a tutto quello che si diceva sul suo cosiddetto caratteraccio. Nel cinema passava per essere un gran rompiscatole. Il suo infinito talento nasceva da una congenita insicurezza mascherata da aggressività L’impressione finale è che lui non si amasse. Non quanto l’amavamo noi”. (Gianni Amelio)
“Ho deciso di dedicarmi alla professione d’attore dopo aver visto Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto. Per me, ma credo per molti altri attori della mia generazione, Volontè ha rappresentato un modello, un punto di riferimento, una sorta di totem, sia dal punto di vista artistico, che politico. Lo abbiamo amato e ammirato per la sua coerenza, la sua intransigenza, il suo modo nuovo e rivoluzionario di intendere la professione. Poter lavorare accanto a lui in Porte aperte è stato la realizzazione di un sogno, che presto si è trasformato in un incubo. Ricordo la lavorazione di Porte aperte come un viaggio nella disperazione. Terminate le riprese mi invitò a cena e mi disse: Adesso possiamo diventare amici”. (Ennio Fantastichini)
“Gian Maria Volontè è l’attore che più manca al cinema italiano di oggi; per il suo carisma, il suo rigore, per le sue provocazioni culturali. Lavorare con lui era un’esperienza unica e irripetibile, anche se per certi versi difficile e faticosa: lui viveva intensamente i personaggi interpretati e continuava a vestire quei panni anche nei momenti di pausa dalle riprese, anche lontano dal set. Forse a Velletri si era liberato dalla paura di incontrare quelli che alla fine gli piacevano meno di tutti: i cineasti” (Giuliano Montaldo)
“Un attore che ha considerato spesso la propria vita come una nemica contro cui lottare con accanimento geniale per tutta sua breve esistenza. Come uomo e come interprete, Gian Maria Volontè aver il bisogno di sentirsi ostile, aveva la necessità del contrasto per preparare i suoi personaggi. Di conseguenza i rapporti con le persone che gli stavano attorno erano inevitabilmente tesi, in particolare con i colleghi attori. Gian Maria era fatto così: era un provocatore, soprattutto sul versante politico”. (Elio Petri)
“Gian Maria Volontè stato un grandissimo attore, tra i più grandi io credo che ci siano stati nel cinema mondiale. La sua attenta osservazione sulla natura umana, la capacità con la quale, nel rispetto della costruzione del personaggio voluta dal regista riusciva a dare forma e a rappresentare un carattere e a mantenerlo in costante tensione, ne ha fatto l’interprete ideale, non sostituibile, dei film per i quali l’ho voluto e avuto con me. Sono stato un grande ammiratore di Gian Maria Volontè, e mi manca moltissimo”. (Francesco Rosi)
FILMOGRAFIA
- L’idiota, regia di Giorgio Albertazzi (1959)
- La Pisana, regia di Giacomo Vaccari (1960)
- Sotto dieci bandiere, regia di Duilio Coletti (1960)
- La ragazza con la valigia, regia di Valerio Zurlini (1961)
- Antinea, l’amante della città sepolta, regia di Edgar G. Ulmer e Giuseppe Masini (1961)
- Ercole alla conquista di Atlantide, regia di Vittorio Cottafavi (1961)
- A cavallo della tigre, regia di Luigi Comencini (1961)
- Un uomo da bruciare, regia di Valentino Orsini, Paolo e Vittorio Taviani (1962)
- Le quattro giornate di Napoli, regia di Nanni Loy (1962)
- Il peccato, regia di Jordi Grau (1963)
- Il taglio del bosco, regia di Vittorio Cottafavi (1963) (Film TV)
- Il terrorista, regia di Gianfranco De Bosio (1963)
- Per un pugno di dollari, regia di Sergio Leone (1964)
- Il magnifico cornuto, regia di Antonio Pietrangeli (1964)
- Le inchieste del commissario Maigret, regia di Mario Landi (1965), episodio della prima serie “Una vita in gioco”
- Per qualche dollaro in più, regia di Sergio Leone (1965)
- Svegliati e uccidi, regia di Carlo Lizzani (1966)
- Le stagioni del nostro amore, regia di Florestano Vancini (1966)
- L’armata Brancaleone, regia di Mario Monicelli (1966)
- La strega in amore, regia di Damiano Damiani (1966)
- Quien sabe?, regia di Damiano Damiani (1966)
- A ciascuno il suo, regia di Elio Petri (1967)
- Faccia a faccia, regia di Sergio Sollima (1967)
- Banditi a Milano, regia di Carlo Lizzani (1968)
- I sette fratelli Cervi, regia di Gianni Puccini (1968)
- Summit, regia di Giorgio Bontempi (1968)
- L’amante di Gramigna, regia di Carlo Lizzani (1968)
- Sotto il segno dello scorpione, regia di Paolo e Vittorio Taviani (1969)
- Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, regia di Elio Petri (1970)
- I senza nome (Le cercle rouge), regia di Jean-Pierre Melville (1970)
- Uomini contro, regia di Francesco Rosi (1970)
- Vento dell’est (Le vent d’est), regia di Jean Luc Godard (1970)
- Sacco e Vanzetti, regia di Giuliano Montaldo (1971)
- La classe operaia va in paradiso, regia di Elio Petri (1971)
- Il caso Mattei, regia di Francesco Rosi (1972)
- L’attentato (L’attentat), regia di Yves Boisset (1972)
- Sbatti il mostro in prima pagina, regia di Marco Bellocchio (1972)
- Lucky Luciano, regia di Francesco Rosi (1973)
- Giordano Bruno, regia di Giuliano Montaldo (1973)
- Il sospetto, regia di Francesco Maselli (1975)
- Musica per la libertà, regia di Luigi Perelli (1975)
- Todo modo, regia di Elio Petri (1976)
- Actas de Marusia: storia di un massacro (Actas de Marusia), regia di Miguel Littín (1976)
- Io ho paura, regia di Damiano Damiani (1977)
- Cristo si è fermato a Eboli, regia di Francesco Rosi (1979)
- Ogro (Operación Ogro), regia di Gillo Pontecorvo (1979)
- Stark System, regia di Armenia Balducci (1980)
- La storia vera della signora dalle camelie, regia di Mauro Bolognini (1981)
- La morte di Mario Ricci (La mort de Mario Ricci), regia di Claude Goretta (1983)
- Il caso Moro, regia di Giuseppe Ferrara (1986)
- Cronaca di una morte annunciata, regia di Francesco Rosi (1987)
- Un ragazzo di Calabria, regia di Luigi Comencini (1987)
- L’opera al nero (L’oeuvre au noir), regia di André Delvaux (1988)
- Pestalozzis Berg, regia di Peter von Gunten (1989)
- Tre colonne in cronaca, regia di Carlo Vanzina (1990)
- Porte aperte, regia di Gianni Amelio (1990)
- Una storia semplice, regia di Emidio Greco (1991)
- Funes, un gran amor, regia di Raoul de la Torre (1992)
- Il tiranno Banderas (Tirano Banderas), regia di José Luis García Sánchez (1993)
PREMI E RICONOSCIMENTI