Musica: Lucio Battisti il genio inavvicinabile

La copertina dell’album “Emozioni” di Lucio Battisti

 

Nel 1970 viene pubblicato l’album della definitiva consacrazione

di Alessandro Ceccarelli

“Mi sono reso conto che fare l’ermetico crea meno problemi, mentre parlare un linguaggio semplice ti espone a maggiori possibilità di essere giudicato. Più gente ti capisce, più hai potenziali giudici di ciò che fai” (Lucio Battisti)

Battisti e la rivoluzione della canzone italiana

L’avvento di una figura come Lucio Battisti nella canzone popolare italiana è stata una vera e propria rivoluzione. Probabilmente solo Domenico Modugno è stato il musicista che ha contribuito alla maggiore trasformazione della forma canzone che grazie a “Volare” è diventata forma d’arte. Negli anni Sessanta avviene un’altra grande novità nel panorama musicale con l’affermazione dei cantautori, ovvero quei cantanti che scrivono sia la musica che il testo delle proprie canzoni. Artisti come Gino Paoli, Umberto Bindi, Paolo Conte, Luigi Tenco, Sergio Endrigo, Giorgio Gaber, Enzo Jannacci e Fabrizio De Andrè contribuiscono all’ingresso della poesia nei testi sempre più complessi, profondi e allegorici.

Nella seconda metà degli anni ‘60 un artista completamente diverso e originale dai cantautori della celebre ‘scuola genovese ‘ comincia a farsi strada. Si tratta di Lucio Battisti. Nato a Poggio Bustone in provincia di Rieti nel 1943, si trasferisce prima a Roma, dove adolescente inizia a suonare la chitarra e poi a Milano, dove è seriamente intenzionato a diventare un musicista professionista. Nonostante sia diventato un buon chitarrista, il giovane Battisti incontri forti difficoltà nel mondo delle case discografiche milanesi. Il suo modo particolare di cantare e lo stile delle sue canzoni non piace, non convince. Il giovane, orgoglioso e introverso, non si arrende; è convinto del suo talento e non accetta compromessi. Il primo che riconobbe il lui qualità di compositore e cantante fu il produttore e paroliere Giulio Rapetti, in arte Mogol. Insieme diedero vita al sodalizio artistico più rivoluzionario e creativo della musica italiana.

Battisti scriveva le canzoni, le melodie, le progressioni armoniche, gli arrangiamenti; Mogol scriveva i testi. Il primo grande successo della coppia Battisti-Mogol fu “29 settembre” (1967) cantata da Maurizio Vandelli degli Equipe 84. La carriera di Battisti sembrava ora inarrestabile. Tra il 1968 e il 1969 altri due singoli di successo come “Un’avventura” e “Acqua azzurra, acqua chiara”, imposero il cantante al grande pubblico del Festival di San Remo e al Cantagiro. Gli anni Settanta saranno il decennio dell’assoluto dominio di Lucio Battisti nel panorama musicale italiano.

 

“Emozioni”, genesi di un capolavoro

“Emozioni”, secondo album di Lucio Battisti è il disco della completa maturazione artista e umana. In questo 33 giri tutto è perfetto: dalle composizioni, agli arrangiamenti, ai testi scritti da Mogol sino alla band che partecipa alle registrazioni. Lucio Battisti chiama in studio Flavio Premoli, Franco Mussica, Franz Di Ciccio e Giorgio Piazza della Premiata Forneria Marconi, Dario Baldan Bembo e Demetrio Stratos alle tastiere, Alberto Radius alle chitarre e Gianni dell’Aglio alla batteria. Nel disco quasi tutte le canzoni sono dei ‘classici’ non solo per il repertorio di Battisti, ma anche per la musica leggera italiana. Il modo di comporre di Battisti è una grande innovazione stilistica che cambia per sempre il senso e la forma della canzone. Brani come “Fiori rosa, fiori di pesco”, “Il tempo di morire”, la struggente “Mi ritorni in mente”, “Non è Francesca” e “Io vivrò”, sono una vera e proprio rivoluzione che si ‘abbatte’ sul panorama italiano. Anche le tematiche dell’amore sono trattate di Mogol in maniera originale e innovativa.

Per ultima la ‘perla’ dell’album, che si trova sul lato “A” del disco: “Emozioni”, un brano che inizia con un dolce arpeggio di chitarra acustica e il cui testo racconta la riflessione interiore di un uomo; la sua rabbia e il suo dolore che si manifestano dentro di lui e che solo lui può sentire e percepire. Una composizione memorabile che dal punto di vista della struttura armonica si distacca completamente dai canoni tipici canzone: introduzione, ritornello e conclusione. E’ una sorta di crescendo con un arrangiamento di archi e tastiere con le percussioni che fanno da contorno. Un capolavoro della musica italiana probabilmente insuperato.

Ecco il testo di “Emozioni” scritto da Mogol:

“Seguir con gli occhi un airone sopra il fiume e poi

ritrovarsi a volare

e sdraiarsi felice sopra l’erba ad ascoltare

un sottile dispiacere

E di notte passare con lo sguardo la collina per scoprire

dove il sole va a dormire

Domandarsi perche’ quando cade la tristezza

in fondo al cuore

come la neve non fa rumore

e guidare come un pazzo a fari spenti nella notte

per vedere

se poi e’ tanto difficile morire

E stringere le mani per fermare

qualcosa che

e’ dentro me

ma nella mente tua non c’e’

Capire tu non puoi

tu chiamale se vuoi

emozioni

tu chiamale se vuoi

emozioni

Uscir dalla brughiera di mattina

dove non si vede ad un passo

per ritrovar se stesso

Parlar del piu’ e del meno con un pescatore

per ore ed ore

per non sentir che dentro qualcosa muore

E ricoprir di terra una piantina verde

sperando possa

nascere un giorno una rosa rossa

E prendere a pugni un uomo solo

perche’ e’ stato un po’ scortese

sapendo che quel che brucia non son le offese

e chiudere gli occhi per fermare

qualcosa che

e’ dentro me

ma nella mente tua non c’e’

Capire tu non puoi

tu chiamale se vuoi

emozioni

tu chiamale se vuoi

emozioni”

 

 

Il paroliere e produttore Mogol e il musicista Lucio Battisti
(Photo by Giorgio Ambrosi/Mondadori Portfolio via Getty Images)

 

DISCOGRAFIA

 

 

GIUDIZI E RICORDI SU LUCIO BATTISTI

Salvatore Accardo (musicista – 1977)

«È uno dei migliori musicisti italiani.
Come compositore ha una vena genuina,
ha istinto, fantasia, facilità espressiva…
Come cantante avvicinerei la sua voce al
violino, non per i suoni o per la tecnica,
ma per l’espressività e la tensione, capaci
di esprimere problemi, inquietudini e
contraddizioni di un’intera generazione»

Little Tony (cantante – 1970)
«Una forza, un genio, il massimo in
campo italiano. l’ho visto in televisione e,
dovete credermi, con tutto che sono
ormai un refrattario, son rimasto
inchiodato sulla poltrona. Sono caduto
in trance. Come la prima volta che senti i
grandissimi, che so, Ray Charles»

Pepe (del gruppo “Dik Dik” – 1967)
«Fra tre anni vivrà di rendita e ci
manterrà tutti»

Piero Sugar (discografico – 1971)
«È un artista completo, ha saputo dire
musicalmente delle cose giuste nel
momento giusto. In più aggiungerei la
sua serietà, la sua costanza e il rifiuto alla
commerialità, ai luoghi comuni, ai
compromessi»

Bruno Lauzi (cantante – 1971)
«È nettamente il più bravo di tutti e
anche se sbaglia, non si sa quando
sbaglia. Sono certo che non sarà questa
generazione a vederlo finito, anzi ritengo
che durerà per sempre»

Mina (cantante – 1971)
«È un ragazzo straordinario, un autore
straordinario, un cantante straordinario»

Maurizio Vandelli (cantante – 1984)
«È l’unico cantautore italiano di cui
posseggo tutti i dischi»

Francesco De Gregori (cantante – 1986)
«Don Giovanni è una pietra miliare. D’ora
in poi dovremo tutti fare i conti con un
nuovo modo di scrivere la musica»

Enrico Ruggeri (cantante – 1986)
«La grande forza del binomio
Battisti-Mogol è stata quella di aver
saputo scrivere canoni pop, ma con
concetti assolutamente degni di una
canzone d’autore; di aver ridotto al
minimo le influenze straniere; di aver
saputo coniugare al meglio il mercato
con l’intelligenza creativa»

Michele Serra (scrittore – 1986/88)
«Don Giovanni ridimensiona gran parte
della musica leggera degli ultimi dieci
anni, il mio voto è dieci e lode. La sua
invenzione melodica è enorme. La frase
musicale finisce sempre in un modo
sorprendente, lasciandoti sospeso nel
vuoto, in una vertigine… La scelta dei
testi è geniale. Molto meglio di Mogol. Io
credo che L’Apparenza sia l’opera di un
genio, o più probabilmente di due…, dico
genio pensando a chi sa generare
miracoli, inventare cose che nessuno ha
potuto inventare prima. Come artefice di
una illuminazione formidabile che per un
attimo ci porta via o porta via gli altri»

Claudio Baglioni (cantante – 1990)
«L’ho sempre inseguito. Per me lui
rappresentava un traguardo da
raggiungere»

Vasco Rossi (cantante – 1992)
«È il più grande di tutti. Vasco Rossi (cantante – 1994)
«È stato per l’Italia quello che i Beatles
sono stati per il mondo. Prima di lui
c’erano i Platters con Only you, poi sono
arrivati i Beatles. Prima c’era la canzone
italiana, poi sono arrivati lui e Mogol:
“Quel gran genio del mio amico / lui
saprebbe cosa fare / con un cacciavite in
mano / fa miracoli / ti regolerebbe il
minimo / alzandolo un po’…” Un genio. Io
avevo dei punti di riferimento che sono
stati alla base delle mi canzoni: lui,
Jannacci, anche Buscaglione… Un giorno
a scuola il professore di italiano, uno
alternativo, fantastico perché ci faceva
sognare, ci ha spiegato una canzone di
Battisti. Io ero giù di testa, lo amavo alla
follia… Una sera a Zocca ho cantato il
karaoke, mi sono divertito come un
pazzo, ho goduto come uno che fa il
karaoke, mi sono sentito il cantante: ho
cantato Lucio Battisti»

Franco Califano (cantante – 1993)
«Se non ci fosse stato Battisti, Mogol
sarebbe ora uno dei tanti sconosciuti
parolieri italiani»

Eugenio Finardi (cantante – 1994)
«Con Mogol facevano un cantautore
perfetto, il primo in senso moderno. Il
loro è stato un abbinamento importante
sia nel senso emotivo sia in quello
musicale. Le loro canzoni – e per Battisti
solo quelle del periodo con Mogol –
hanno il dono della versatilità: mentre
registravo I giardini di marzo con Alberto
Tafuri e Francesco Saverio Porciello, mi
sembrava di averla scritta io e mi sono
anche commosso fino alle lacrime; mi ha
toccato in modo profondo, alla fine io e i
musicisti ci siamo abbracciati. Battisti e
Mogol erano come Lennon e McCartney.
La sua scelta di scomparire? Ha fatto
bene, se potessi lo farei anch’io, è una
scelta di libertà e di dignità, contro il
protagonismo di oggi»

Lucio Dalla (cantante – 1993)
«È un cantante strepitoso perché non ha
nessuna vocalità classica e ha una voce
che sembra una lametta da barba. Mi
sembra molto simile a Bob Dylan, perché
tutti e due usano una voce d’emergenza,
cioè fanno della necessità una originalità
assoluta. Fa una curva, dopo va su un
gradino, poi stride e dopo invece si
abbassa, sussurra, per arrivare a quella
che è la comunicazione ideale, che è
l’opposto del grande cantante»

Francesco Guccini (cantante – 1994)
«Mi ricorda innanzitutto un periodo in
cui le sue canzoni hanno avuto una
grande importanza. Nel suo ambito
certamente il migliore. Lo si cantava tutti,
anch’io lo cantavo, come si cantavano i
Beatles. La prima canzone che mi ricordo
è Firi rosa fiori di pesco. Non l’ho mai
conosciuto, ma è così sfuggente che
forse non incuriosisce nemmeno, perché
uno che decide di ritirarsi in privato
vuole così. Non apparire in pubblico è
una scelta che può derivare dalla paura
della gente, del palco, paura che abbiamo
tutti, ma che si può superare. Comunque
è uno dei più grossi autori italiani di
musica pop, intesa come popolare»