Musica: King Crimson, la singolarità del rock (Seconda parte)

 

 

I King Crimson dell’album “Larks tongues in aspic”: da sinistra il percussionista Jamie Muir, il batterista Bill Bruford, il chitarrista Robert Fripp, il violinista-tastierista David Cross e il bassista-cantante John Wetton

Come già anticipato nella prima parte, ecco il seguito della vicenda musicale del gruppo britannico dei King Crimson. In questo secondo capitolo sono analizzati gli album “Larks tongues in Aspic” (1973), “Starless and bible black” (1974), “Red” (1974) e il live “U.S.A” uscito nel 1975 dopo l’ennesimo scioglimento decretato dal chitarrista e leader Robert Fripp. La musica dei King Crimson espressa in questo periodo è decisamente diversa e più articolata rispetto al primo periodo (1969-72). Robert Fripp decise di cambiare il suono e la strumentazione della sua band, eliminando i fiati (ad eccezione del brano “Starless” in “Red”) che furono sostituiti dal violino di David Cross, musicista accademico e dalle variegate percussioni di Jamie Muir, proveniente dal free jazz. Robert Fripp dopo aver messo fine all’ultima formazione che suonò dal vivo sino al giugno del 1972 (Mel Collins, Boz Burrell, e Ian Wallace), contattò per primo il batterista degli Yes Bill Bruford che a sorpresa lasciò la band di Jon Anderson all’apice del successo di “Close to the edge”. La grande novità dei “nuovi” King Crimson fu il violinista David Cross e il percussionista Jamie Muir. Positiva fu anche la scelta del cantante e bassista John Wetton, sicuramente migliore del suo predecessore Boz Burrell. La nuova band suonò dal vivo tra l’ottobre e il dicembre del 1972 in Francia e in Germania e il 1° gennaio del 1973 iniziarono le registrazioni di “Larks tongues in aspic”. La direzione proposta da Fripp fu decisamente diversa dagli album precedenti: meno influssi jazzistici e richiami più evidenti verso la musica classica del Novecento, con particolare riferimento a quella dell’ungherese Bela Bartok. Allo stesso tempo i King Crimson optarono anche per un sound duro, di forte impatto soprattutto per l’album “Red”, forse la loro prova migliore degli anni ’70. (A.C)

 

di Roberto Ceccarelli

Nella lunga storia dei King Crimson non sono mancati i colpi scena, i drastici cambiamenti musicali e la frequente turnazione dei musicisti alla “corte” di Robert Fripp. Proprio nel momento di massima espressione creativa, Fripp decide di interrompere il progetto, per poi riaprirlo nel 1973 con “Larks’ Tongues in Aspic” ed iniziare la seconda fase in cui i King Crimson concentrano la loro attenzione maggiormente agli stilemi della musica classica del novecento e le avanguardie, non disdegnando ad aperture jazzistiche e Rock duro. Naturalmente Fripp rivoluziona l’organico introducendo un raffinato violinista (David Cross, 1948) al posto del fiatista Mel Collins, un nuovo bassista cantante, (John Wetton, 1949-2016) un bizzarro ed imprevedibile percussionista (Jamie Muir) ed uno straordinario batterista (Bill Bruford, 1949). I nuovi Crimson sviluppano le composizioni in modo “geometrico”, il sound è diverso rispetto alle opere della prima fase: esso appare più “elettrico”, più energico negli interventi della chitarra e più intenso nel virtuosismo ritmico. Resta un sontuoso  mellotron che si sposa perfettamente con il delicato violino di Cross e la chitarra graffiante di Fripp. Ascoltando il brano d’apertura “Larks’  Tongues in Aspic” part.1, si nota una lunga introduzione etnico-minimalista di vibrafono e percussioni. Giusto il tempo di ambientarsi in questa atmosfera orientaleggiante, che all’improvviso emerge un inaspettato violino ritmico e la chitarra elettrica di Fripp che sembra un lamento. Cambia completamente il sapore del contesto compositivo: da oriente ed occidente. La tensione generata dal violino e dalla chitarra si risolve con un “pieno” quasi “Hard Rock” di basso, batteria, chitarra elettrica e la sovraincisione di una seconda chitarra in cui Fripp imita urla strazianti. Si prosegue con un’energica e virtuosistica fase portata avanti dal duo ritmico Bruford/Muir, il basso di Wetton e la chitarra elettrica che introduce un solo di violino “novecentesco” e liricissimo, tale da trasformare la tempesta in quiete nell’alternanza di tensioni angoscianti e distensioni favolistiche.

La copertina dell’album “Larks tongues in aspic” pubblicato il 23 marzo del 1973

 

Nel momento di massima distensione, quando il violino e le percussioni si riducono quasi ad un soffio, interviene la chitarra elettrica di Fripp che ripete la figurazione ritmica in precedenza sviluppata dal violino di Cross. Si aggiunge un indistinto vociare che ricorda il brusio della sala d’attesa di una stazione ferroviaria o del terminal di un’aeroporto. Tutto indurrebbe a pensare al ripetersi del pieno vertiginoso e la chiusura del brano, ed invece i King Crimson tirano fuori dal loro “cilindro magico” una stupenda quanto inaspettata linea melodica di violino, altamente evocativa, che porta alla distensione finale. Il secondo brano “Book of Saturday” è antitetico al primo: brevissimo, omogeneo permeato di una totale delicatezza nella sua dolcissima cantabilità. Si apre con un’elegante arpeggio di chitarra elettrica, la linea del basso sobria e profonda e voce portante della linea melodica principale molto orecchiabile. Dopo due strofe si aggiunge una seconda chitarra elettrica che pennella alcune note (utilizzando il gioco del volume con il pedale) ed il violino nel breve e struggente strumentale. Alla ripresa, la melodia della voce è stupendamente contrappuntata dal violino di Cross: un piccolo capolavoro in 2 minuti e 50 secondi. Segue “Exiles”, composizione introdotta da suoni inquietanti e spettrali, ma l’atmosfera oscura si stempera grazie al violino di Cross che “disegna” una delicatissima melodia, la voce autorevole di Wetton, gli arpeggi frastagliati e celestiali di Fripp, basso e la batteria discreta di Bruford. Successivamente si uniscono in sottofondo gli archi del mellotron, il flauto traverso, il pianoforte, (entrambi suonati da Wetton) fino al sublime solo finale di chitarra elettrica sovraincisa (l’altra è l’acustica con le contorte figurazioni melodiche) da brividi. “Easy Money” è un brano dall’incedere estremamente energico in crescendo, in cui emerge la grande tecnica di Bruford alla batteria, funambolismo delle percussioni di Muir a cui si unisce la trascinante chitarra elettrica di Fripp. In sottofondo un delicato e quasi impercettibile Mellotron con il timbro di violini che poteva essere registrato con più volume. A seguire “The Talking Drum”, che apre con un vento lontano e delle percussioni soffuse, incarna influenze esotiche in un iperbolico crescendo con il basso ostinato di Wetton, la viola magica di Cross a cui si aggiunge successivamente la chitarra elettrica di Fripp in una sorta di seconda voce controcantata. La ritmica in crescendo potentissima di Bruford e Muir, introduce al brano finale “Larks’ Tongues in Aspic” part.2 che nel suo insieme alterna momenti intensi con la chitarra corrosiva di Fripp, a passaggi più lievi del violino di Cross. La composizione si sviluppa in un divenire di progressioni armoniche ascendenti e tempi dispari, da rendere il clima denso d’inquietudine. Nella fase centrale impressionano le note dissonanti del violino che accentuano il senso di angoscia. La struttura geometrica del brano verrà riproposta successivamente in altre due versioni con diversi arrangiamenti. Essa rappresenta comunque un importante punto di riferimento nella realizzazione del successivo disco “Starless and Bible Black ed anche per i futuri lavori Crimsoniani.

 

Da quintetto a quartetto: addio a Jamie Muir

La copertina dell’album “Starless and bible black” pubblicato il 29 marzo del 1974

Naturalmente si conferma la tradizionale instabilità dei King Crimson; infatti dopo “Larks’ Tongues  in Aspic”, il percussionista Jamie Muir abbandona l’organico lasciando il solo Bruford agli strumenti a percussione. La prima traccia di “Starless and Bible Black” (The Great Deceiver) si apre con un velocissimo e frenetico “pieno” di violino, chitarra elettrica, basso e batteria in cui gli stacchi ritmici sono vertiginosi e complessi. I “riff” della chitarra elettrica risultano aggressivi ed angoscianti. Poco riuscita la reiterazione del cantato nella parte finale. Con “Lament” l’atmosfera appare più pacata con la chitarra elettrica che detta la cadenza, la voce di Wetton a guidare la melodia, quindi gli archi del Mellotron ed il violino dolcissimo di Cross. Tutto appare delicato, ma il timbro e gli accordi della chitarra elettrica di Fripp cambiano e, con la complicità del potente basso di Wetton, aumenta in crescendo l’energia fino all’intervento di Bruford con le sue percussioni e batteria al punto da raggiungere un’atmosfera quasi “hardrock”. Segue la strumentale “Well’s Let You Know” che apre in modo psichedelico con il violino di Cross e gli armonici della chitarra elettrica di Fripp in evidenza. Tutto sembra ricordare “Moonchild”, (In The Court of the Crimson King) ma il brano è in crescendo ed ogni nota che si aggiunge alla precedente, lascia un senso di sospensione ed attesa. Protagonisti il potente basso di Wetton e la chitarra di Fripp a cui si aggiungono le percussioni che fanno da preludio all’inserimento di una maestosa batteria per il culmine finale che però si placa inaspettatamente con la chiusura pacata come in apertura. “The Night Watch” è una colta ballata che apre con un arpeggio velocissimo di Fripp, il violino di Cross che introduce il cantato di Wetton. Bello in controcanto del violino ed i dolcissimi armonici della chitarra che evolvono in una serie di note fondamentali alla guida della sezione centrale della composizione a cui si aggiungono gli archi del Mellotron. E’ il momento culmine del brano con l’assolo struggente della chitarra elettrica di Fripp, la ripresa del cantato di Wetton, breve stacco strumentale dal sapore orientaleggiante nel finale soave ed elegante. Segue la delicata “Trio”: brano strumentale in cui dialogano in modo sublime il violino ed il Mellotron con il registro dei flauti, il basso caldo e profondo ed in sottofondo un delicatissimo arpeggio di chitarra. L’atmosfera è sognante e carica di liricità. Altro strumentale (The Mincer) inizia con percussioni, Mellotron che disegna armonie di archi atonali, il basso di Wetton, la chitarra distorta e ruvida di Fripp che esalta il senso di angoscia e sospensione crescente ed infine la batteria virtuosistica di Bruford, metricamente imprevedibile e ricca di tempi irregolari. Al culmine del crescendo il brano si placa un attimo con il cantato “sofferente” di Wetton, ma il basso poderoso associato agli archi dissonanti del Mellotron promuovono un nuovo decollo vertiginoso che si interrompe bruscamente. Brano ostico, di difficile fruizione quasi visionario, ma per chi è abituato alle avanguardie colte del ‘900, particolarmente interessante. Il brano “Starless and Bible Black” apre con un’atmosfera tranquilla e psichedelica con delle note “puntellate” e delicate di chitarra, le percussioni di Bruford. La composizione cresce con le note acide e dissonanti di Fripp, Wetton si fa sentire con un basso potente sul grave ed il Mellotron suonato da Cross propone degli archi tenebrosi: siamo nel pieno del delirio con la batteria metronometrica e ricca di variazioni. Nuovo momento pacato di Mellotron e chitarra atonali che si intervalla a variazioni improvvise complice il delicato violino di Cross con cui termina il brano. Come la precedente composizione, siamo nel pieno spirito avanguardista e sperimentale in cui vengono superate le tradizionali regole compositive del sistema tonale. Il disco si chiude con “Fracture”, forse il brano più rappresentativo dell’intera opera. In esso emergono il carattere geometrico della struttura, le progressioni ascendenti, le fantasmagoriche variazione ritmiche. Colpisce in particolare, nella prima parte del brano, un velocissimo arpeggio di chitarra accompagnato dall’elegante figura ritmica della batteria di Bruford e la delicata melodia del violino di Cross. Sparisce la batteria ed inaspettatamente emergono le note del vibrafono e poi dello xilofono a disegnare un nuovo evocativo tema in crescendo, ma l’abile chitarra di Fripp riapre alla batteria e cambia l’atmosfera riprendendo il discorso iniziale. Si prosegue con l’alternanza dei temi e dei crescendi e diminuendi fino all’apoteosi finale con violino e chitarra all’unisono nell’esecuzione del tema evocativo in crescendo accompagnati dalla potentissima batteria che pennella metriche irregolari e composte.

 

Dal quartetto al super-trio: addio a David Cross

La copertina di “Red”, ultimo album in studio dei King Crimson (anni ’70) pubblicato il 6 ottobre del 1974

 

Il successivo disco “Red” viene pubblicato nel 1974 ed ufficialmente non compare il violinista David Cross anche se contribuisce a livello compositivo in due brani dell’opera. (“Providence” e “Starless”) Presente anche come ospite in studio insieme ai fiatisti Mel Collins e Ian McDonald, all’oboista Robin Miller ed al cornettista Marc Charig. L’album si apre con un brano strumentale che da il titolo al disco. Molto potente il trio chitarra elettrica, basso e batteria, con la chitarra di Fripp dallo spirito corrosivo di accordi in progressione seguendo scale esatonali o anche dette simmetriche (scale in cui l’intervallo minimo tra le note è di un tono dando quindi una sensazione di sospensione );  seconda chitarra sovraincisa che disegna frammenti di melodia infuocati, Wetton con il basso potente e distorto riempie qualsiasi spazio disponibile ed infine la batteria di Bruford che costruisce alternanze di ritmi pari e dispari ( dal 4/4 al 5/8 al 7/8 ) con la grande maestria che possiede. Il “sound” energico e vorticoso viene spezzato, nella parte centrale del componimento, da una cupa spirale tenebrosa realizzata da una linea solista di basso probabilmente doppiato all’unisono dal grave della chitarra elettrica: all’ascolto sembra un contrabbasso ad archetto leggermente distorto. Il brano riprende la sua architettura estremamente simmetrica iniziale ( forse troppo! ) e chiude. Segue “Fallen Angel” che apre in modo pacato con una introduzione di violino seguita dal tema dolce e cantabile della voce di Wetton accompagnata delicatamente dalla batteria di Bruford e gli archi del Mellotron. (purtroppo appena percettibili ) Belle le note di chitarra elettrica “pulita” che accompagnano la parte finale della strofa. Successivamente si aggiunge la chitarra acustica, anch’essa appena percettibile, che disegna note frastagliate tipiche del fraseggio di Fripp ed un meraviglioso contrappunto di oboe. Poi un piccolo “break” con l’arpeggio di chitarra acustica che introduce una breve variazione del cantato di Wetton, per riprendere la strofa iniziale ripetuta due volte con l’acustica e l’oboe che contrappuntano sublimemente il tema principale della voce: il tutto concepito con grande eleganza e gusto. Ma non si ha il tempo di metabolizzare il momento magico, che la “perfida” e graffiante chitarra elettrica di Fripp interrompe l’incantesimo per aprire ad una diversa dimensione: cambia tutto! Il tempo diventa ternario, entrano in gioco i fiati ed un’ostinato di chitarra elettrica aumenta la tensione. Breve ritorno al tema iniziale dolcissimo con relativo cambio di tempo in 4/4 per poi riprendere il “pieno” finale in tempo ternario. Brano complesso, ricco di soluzioni eleganti e virtuose che presuppone un’ascolto attento per poter fruirne a pieno la bellezza. ” One More Red Nightmare” inizia con un “Prog” intenso di chitarra distorta, basso e batteria; il cantato di Wetton non convince molto e soprattutto il battere delle mani a dare il tempo sembra fuori luogo. Ma il vero protagonista è Bruford con la sua batteria spezzata ed in continui cambi di tempo. Il brano si mantiene sempre molto intenso con anche l’intervento dei fiati: peccato il battito delle mani! “Providence” è un brano strumentale che parte con un “solo” di violino molto ardito, in sottofondo dei “ronzii” e rumori ad esaltare un’atmosfera di attesa ed angoscia da somigliare al tipico sapore della musica contemporanea “colta”. Si aggiungono le percussioni di Bruford, il basso potente di Wetton e la chitarra “lucifera” di Fripp ad accentuare la drammaticità in un crescendo infernale. Siamo in una condizione di piena sperimentazione, con un vorticoso duo chitarra e basso, la batteria virtuosissima e martellante a cui si aggiunge nel finale il violino distorto di Cross. In disco si chiude con “Starless”, lunga composizione divisibile in tre movimenti. Nel primo movimento, (che potrebbe definirsi ballata) una languida e struggente introduzione di Mellotron con il registro di archi fa da sottofondo all’incantevole ed evocativa chitarra elettrica di Fripp con il suo classico timbro chiuso, pulitissimo che somiglia  ad un violino. Il disegno melodico creato dai rapporti tensivi tra le note, genera un’atmosfera di epica magia. La batteria discreta in un elegante 4/4 accompagna la voce di Wetton quasi lamentosa ed amara.

A tutto ciò si aggiunge l’intercalare altrettanto elegante del sax soprano di Collins  ed il brano procede per altre due strofe in leggero crescendo. All’improvviso un’inatteso stop ( inizio secondo movimento ) da cui parte una linea di basso lentissima dalla metrica molto difficile da misurare. ( sembrerebbe in 17/8 ) Inizia un lungo ostinato di chitarra elettrica in progressione ascendente a cui si aggiunge progressivamente la batteria di Bruford. Ad ogni giro la ritmica cresce, aumenta la distorsione della chitarra nei lancinanti acuti in un percorso infinito come salire la “Torre di Babele”. Al culmine di questa tensione alla massima potenza, dopo un brevissimo break con la chitarra “urlata” di Fripp, esplode un insieme “fortissimo” in 11/8 con il sax alto di McDonald in evidenza. ( terzo movimento )Il brano si conclude solennemente con il tema iniziale, ma con più energia, accompagnato dagli archi imperiosi e sinfonici del Mellotron. Con questa splendida composizione si conclude “Red” e la seconda fase dei King Crimson: Robert Fripp decide di interrompere nuovamente il percorso come già avvenuto nel 1971 dopo “Island”. Dovranno trascorre circa 7 anni prima che l’eclettico Fripp riprenda “l’idea” King Crimson. Dopo “Red” viene pubblicato un album “live”: King Crimson U.S.A. Il disco non aggiunge ne toglie nulla a quanto detto. Le performance sono ineccepibili ed anche la registrazione è buona. Da segnalare “Asbury Park”, un’improvvisazione dove emergono soprattutto le doti ritmiche di Bruford nonché la tecnica sopraffina di Fripp alla chitarra. Compare tra i musicisti anche il virtuoso violinista/tastierista Eddie Jobson che suona il violino in “Larks’ Tongues in Aspic” part. 2 ed in “21st Century Schizoid Man”, il pianoforte su “Lament”.

“U.S.A”, il secondo live dei King Crimson pubblicato il 3 maggio del 1975

MUSICISTI DEL PERIODO 1972-1975

Robert Fripp: chitarra elettrica, chitarra acustica, Mellotron

David Cross: violino, viola, Mellotron, piano elettrico

John Wetton: voce solista basso elettrico

Bill Bruford: batteria

Jamie Muir: percussioni

Eddie Jobson: Violino, tastiere

JAMIE MUIR, UN MUSICISTA MISTERIOSO

Jamie Muir è stato un musicista senza barriere. Iniziò la sua carriera al trombone in band jazz, poi passò alla batteria e alle percussioni con un approccio del tutto libero. Suonò per due anni con l’Edinburgh free-jazz ensemble The Assassination Weapon poi seguì Derek Bailey nel suo progetto The Music Improvisation Company. Nel 1971 Muir si unì al gruppo di rock africano Assaggi. Qualche tempo dopo Robert Fripp gli fece la proposta che l’ha consegnato all’obliquità, seguirlo nell’ennesima incarnazione del re cremisi. La sezione ritmica dei Crimson era formata da John Wetton al basso, da Bill Bruford alla batteria e da Jamie Muir che percuoteva e utilizzava tutto ciò che era possibile: fogli di metallo, catene, richiami per uccelli, bottiglie di plastica, letti di foglie secche, seghe. 
Le performance di Muir sono immortalate in un solo album Larks’ Tongues in Aspic.
Dopo l’esperienza con i King Crimson, Muir decise di ritirarsi a una dimensione di vita più introspettiva e in particolare alle pratiche buddiste.
Nel 1980 Muir tornò a fare musica e lo fece in un progetto tutto suo chiamato Ghost Dance, con l’aiuto di David Cunningham e Michael Giles. 
Nel 1990 Jamie Muir decide di abbandonare completamente la musica per dedicarsi alla pittura.