Musica: King Crimson, la singolarità del rock (quinta parte)

La copertina di “The power to believe” dei King Crimson pubblicato il 24 febbraio 2003

“The Power to Believe” è il tredicesimo album in studio del gruppo musicale britannico King Crimson, pubblicato nel 2003 dalla Sanctuary Records. Gran parte dei brani era già stato eseguito dal vivo dal gruppo negli anni antecedenti all’uscita dell’album, tra cui “Level Five”, “The Power to Believe Part II” e “Dangerous Curves”, apparsi in versione dal vivo nell’EP “Level Five” del 2001 (il secondo era inizialmente intitolato “Virtuous Circle”), ed altri erano apparsi nell’EP “Happy with What You Have to Be Happy With” come il brano omonimo e “Eyes Wide Open”, quest’ultimo presente in versione alternativa. L’unico brano completamente inedito è “Facts of Life”, accompagnato dalla relativa introduzione. (Fonte: Wikipedia)

di Roberto Ceccarelli
Nel 2003 viene presentato il nuovo lavoro dei King Crimson: “The Power to Believe”. L’organico resta invariato e si parte con un tema a cappella (“The Power to Believe I”) con la voce di Belew filtrata da effetto etereo e claustrofobico che sarà riproposto più volte come una sorta di richiamo. Il tempo di adattarsi a questa cupa atmosfera che inizia “Level Five”, traccia strumentale dall’impatto potentissimo; molto interessante lo studio della batteria in cui Mastelotto si cimenta con tempi irregolari su di una sezione sovraincisa. Nello schema compositivo geometrico si susseguono variazioni e passaggi funambolici come ad esempio il riff virtuosistico della chitarra di Fripp a cui si unisce all’unisono uno straordinario Gunn alla War Guitar. Le chitarre di Fripp e Belew dialogano in vortici di crescendi e diminuendi perdifiato. Nella fase finale tocca a Belew dimostrare tutto il suo talento con il “solo” dalle note dissonanti in calando. Segue la dolce e cantabile “Eyes Wide Open” che inizia con i tappeti elettronici di Fripp e cui si aggiungono gli arpeggi di Belew dal timbro elegantissimo ed il lavoro discreto di Mastelotto e Gunn alla sezione ritmica. La voce di Belew si armonizza molto bene all’atmosfera quasi sognante del brano. Nel ritornello Mastelotto si distingue con il rullante in sincope ad impreziosire la ritmica. Molto curata e ricca di variazioni la parte strumentale in cui Gunn accompagna con un timbro simile al violoncello il riff progressive pacato di Belew, mentre Fripp si occupa dei tappeti elettronici. Nella seconda parte dello strumentale Fripp esegue un delicato solo su di un’arpeggio di Belew mentre Gunn e Mastelotto accompagnano egregiamente rispettivamente con il basso della War Guitar e la batteria dai suoni elettronici. Il brano si chiude con la ripresa del ritornello in un assieme molto raffinato.
“Elektrik”  è un’altro brano strumentale che apre in modo dolce e fiabesco con il suono di un flauto campionato e suonato da Belew attraverso la chitarra: circa 40 secondi favolistici rotti all’improvviso da una sezione ritmica elettronica incalzante e gli intrecci chitarristici di Fripp e Belew in progressione crescente. L’epilogo è un elegantissimo intreccio delle due chitarre e l’accattivante linea di basso di Gunn che con la War Guitar è davvero notevole; assolutamente coerente la delicata batteria di Mastelotto. Ripresa della sezione ritmica possente per poi ridare spazio alla sezione più delicata. La composizione prosegue tra momenti pacati e altri molto intensi con continue variazioni che mostrano la grande coesione tra i musicisti, la notevole tecnica nello sviluppo sofisticato dell’arrangiamento. La chiusura richiama l’atmosfera fiabesca del flauto. “Facts of Life” è introdotto da tappeti spaziali e di onde marine operati da Fripp in un’atmosfera distensiva e di attesa rotta nel finale da fortissimi colpi di percussioni di Mastellotto e War Guitar di Gunn. A questo punto inizia il brano con al voce distorta ed acida di Belew in un’atmosfera “Hard Rock” esaltata dalla batteria “sporca” e potente di Mastelotto. Siamo lontani dagli stilemi crimsoniani tanto da apparire un corpo estraneo nell’economia contenutistico-formale del disco. La successiva traccia “The Power to Believe II” è una composizione strumentale introdotta da tappeti elettronici di Fripp che, attraverso la chitarra connessa ai campionatori, crea un’atmosfera dal sapore cosmico ed inquietante poiché l’armonia resta in sospensione.
In sottofondo si percepiscono le percussioni elettroniche di Mastelotto opportunamente filtrate che accentuano la sensazione di attesa. Il tutto si risolve in una elegantissima dissolvenza da cui emerge il vocalizzo mezzosoprano realizzato dalla chitarra di Belew in funzione “Master Keyboard”. La melodia crea un’atmosfera vagamente orientaleggiante che da la sensazione di un lungo viaggio nello spazio infinito, si aggiungono le percussioni dal timbro “liquido” perfettamente in sintonia con il registro del vocalizzo. Si procede con questo duo fino a che irrompe una coinvolgente linea di basso fretless realizzata da Gunn con la sua War Guitar che prende il posto del vocalizzo. Contemporaneamente cambia il lavoro di Mastelotto alla batteria, si passa dalle percussioni “liquide” ad un tintinnio di piatti molto raffinato. Pochi secondi ed entra imperiosa la chitarra di Fripp con un solo che richiama le atmosfere orientali del vocalizzo; il timbro è riverberato che sembra provenire da lontani spazi interstellari e riempie la scena. Il tempo di godere in questo universo tenebroso che cambia tutto: il lontano sibilo di onde marine e vento introducono una sorta di vibrafono dalle note orientali e sotto, appena accennato, un vocalizzo dal registro diverso dal precedente. Qualche battuta e si sovrappone un’altro strumento simile al vibrafono che intreccia il fraseggio secondo la tecnica minimalista. Interviene anche Mastelotto con una serie di percussioni, campanelli ed altri aggeggi che si integrano perfettamente con lo spirito della sezione in atto. All’improvviso riecheggia il tema a cappella che ha aperto il disco, i bassi profondi di Gunn introducono gli archi di Fripp. Al termine del vocalizzo, gli archi segnano la linea melodica guida accompagnati dal basso svisato di Gunn da brividi. Reiterazione del tema (voce filtrata di Belew) con la batteria e gli archi in crescendo, mentre gli intrecci minimalisti dei vibrafoni spariscono in dissolvenza. Gli strumenti vanno e vengono nel raffinato e complesso arrangiamento come in un’orchestra sinfonica. Cambio dell’andamento della batteria che, insieme al possente basso di Gunn, accompagna la base di archi ed un nuovo solo sontuoso della chiatarra di Fripp nell’epilogo finale regalando anche dei passaggi orecchiabili: davvero un gran pezzo! La seguente traccia “Dangerous Curves” è uno strumentale in perenne crescendo dove prevale il timbro degli archi e che si sviluppa nel continuo aggiungere di strumenti nelle trame musicali con un intercedere incalzante fino all’esplosione finale liberatoria. Interessante il lavoro di Mastelotto alle percussione con gli abbellimenti ricchi di contrattempi. Peccato che ad un certo punto la batteria segna il tempo in stile “disco”, unico elemento discutibile di una composizione trascinante.
Segue “Happy with what you have to be happy with”, breve composizione in chiave “Hard Rock” con la voce “sporca” di Belew nella strofa e pulita nel ritornello, le chitarre distorte e taglienti di Fripp e Belew in cui il primo si occupa delle geometrie armoniche ed il secondo dei suoni lancinanti nel solo dalla sezione strumentale. Il seguente brano, ” The Power to Believe III”, è uno strumentale altamente sperimentale dall’atmosfera pittorica astratta fuori dal sistema tonale. C’è il richiamo al tema ricorrente con la voce filtrata di Belew, i tappeti spaziali e gli archi di Fripp , gli interventi improvvisi ed efficaci delle percussioni di Mastelotto a spezzare l’atmosfera cosmica insieme alle note possenti del basso di Gunn. La composizione è in forma libera ed estremamente variata nella sua struttura con pieni e vuoti, accelerazioni e rallentamenti. I musicisti si scambiamo i ruoli per cui a volte diventa difficile distinguere esattamente chi suona cosa. Resta inequivocabile il monumentale solo alla chitarra di Fripp con registro riverberato nella seconda parte della traccia. Chiude il disco “The Power to Believe IV” ancora con Fripp in evidenza attraverso i suoi tappeti elettronici di chitarra, realizzati con il sistema “Soundscapes”,  in cui si fondono gli archi e suoni sintetizzati con le parti armonizzate secondo leggi non tonali. L’atmosfera è sognante e definisce un senso di attesa nella esplorazioni degli spazi infiniti finché non emerge, come un mantra, il tema della voce filtrata di Belew con cui inizia l’album e con cui si conclude.
“The Power to Believe” segna la fine della quarta fase dei King Crimson e sembrerebbe anche del gruppo. Infatti ufficialmente la band è inattiva, ma Fripp non abbandona la musica e, dopo una serie di collaborazioni, nel 2013 annuncia la rinascita dei King Crimson e sarà ovviamente una rivoluzione.
FORMAZIONE
I King Crimson in un concerto del 2003
LA CRITICA
“Da tempo un disco dei King Crimson non era così atteso: recensioni entusiastiche su riviste a tiratura nazionale da parte dei pochi fortunati a cui vengono date le copie gratis mesi prima (sig); ” Nuovo metal”, l'”heavy metal secondo i King Crimson”, il “ritorno del re” e via discorrendo. I due precedenti dischi di questa formazione (“Thrack” e “Construction of light”) avevano lasciato qualche perplessità anche tra i prog-fan e l’attesa di una rinascita e di un cambio di rotta era grande. Attesa ripagata?

Un breve intro a cappella (“The power to believe I”) fa da prologo a “Level five”, ennesima variazione sul tema di “Red” (1974) ma con un impatto più duro; tipici gli accordi frippiani ma il barrage chitarristico presto si sfrangia in un vortice che prende allo stomaco, le chitarre di Fripp e Belew dialogano, si intersecano, si scontrano, refluiscono, si innalzano senza pace, Mastellotto continua a valere 1/4 di Bruford ma spinge molto. Sette minuti vertiginosi. Gran pezzo. Si prosegue con “Eyes wide open”, melodica, potenziale singolo, refrain non irresistibile ma impreziosita da un buon arrangiamento con un grande lavoro chitarristico e un discreto utilizzo dell’elettronica. Passiamo a “Elektrik”, tipico brano strumentale degli ultimi Crimson con le chitarre che ruotano dapprima attorno a un punto di equilibrio per poi aprirsi parti più aggressive ed epiche, bel lavoro di Gunn alla warr guitar che funge da basso ma alla fine è un pezzo che ti porta in giro a vuoto 8 minuti senza costrutto. “Facts of life”, altro brano cantato, ricorda “Prozak blues” del disco precedente, pezzo molto tirato, alcuni pregevoli stacchi di Fripp, ma alla fine non ci scaldiamo più di tanto.

Il disco riprende decisamente quota con “The power to believe II”, base ritmica sintetica, discreta, liquida su cui Fripp ricama alcuni suoi tipici accordi da altro mondo, gelidi, alieni, vagamente orientaleggianti, poi il pezzo cambia registro con la voce filtrata su un ottimo fondo di frippertronics, quindi la sezione ritmica e sul finale un assolo da brividi del Re. Ancora meglio “Dangerous curves”, ossia “Talking drum” (da “Lark’s tongue in aspic”) 30 anni dopo: una progressione travolgente, irresistibile con tutto il gruppo al massimo.

Con “Happy with what you have to be happy with” ritorna il cantato, il brano è sulla falsariga di “Facts of life”, bello ma non sconvolgente; la terza parte di “Power to believe” è uno degli episodi migliori, con un Fripp dilaniante in brano pittorico, astratto, molto suggestivo. Le frippertronics della breve “Power to believe IV” chiudono il disco in un clima quasi angosciante un po’ rovinato dalla solita voce filtrata.

Disco molto moderno piacerà anche ai non addetti al progressive, purché si accettino certe tipiche ridondanze, ed è senza dubbio il miglior lavoro dei King Crimson in questa formazione, con un Fripp molto lucido nello sperimentare anche nuove strade per la sua creatura. Tuttavia si avverte anche la necessità e il desiderio che “Power to believe” sia l’epitaffio per i Crimson di Belew, Mastellotto e Gunn, non credendo possibili espansioni musicali ulteriori di tale formazione. Chissà se Robert Fripp conserva ancora il numero di cellulare di David Sylvian? Poi ogni Re ha un consigliere fidato. Brian Eno? Ma Jim O’ Rourke sarà impegnato per i prossimi anni?”

(Michele Chiusi, Ondarock)
“The Power to Believe mette chiaramente in risalto alcune componenti: il taglio quasi metal di alcune sezioni, un fortissimo uso dell’elettronica e una continua sensazione di progresso tecnologico sono gli ingredienti alla base di questo nuovo lavoro. Per certi versi c’è un netto filo di continuità con il lavoro precedente, tuttavia vi è maggiore omogeneità e un livello medio più alto. Part I: A Cappella apre il disco con alcuni versi, alterati da un filtro etereo ed elettronico. Le metaforiche parole di speranza accompagnano egregiamente la copertina del disco, che raffigura un neonato sotto le mani di un’angosciante levatrice. Fuori dai vetri della sala vi è una inquinatissima metropoli e due inquietanti figure accompagnate da cani da caccia. Tutti gli individui portano una maschera in volto, rendendo l’ambiente più misterioso e pesante. Nonostante tutto il bambino dorme sereno, ignaro del suo futuro. Il protagonista dell’artwork è ovviamente il neonato, simbolo di speranza, che dovrebbe darci la forza di credere e sperare, nonostante le difficoltà che ci circondano. A grande effetto entra la prima vera traccia del platter: Level Five non è altro che una delle nuove e tante variazioni del tema di Red, uscita sull’omonimo disco del 1974. Come in ogni disco dei King Crimson è presente un marcato autocitazionismo, che tuttavia evolve egregiamente. Lo strumentale in questione infatti è uno dei migliori pezzi di tutta l’opera e trasmette delle sensazioni angoscianti, grazie ad un tempo continuamente irregolare e ad un intreccio chitarristico di Fripp e Belew altamente dissonante. Vi sono continue evoluzioni, stacchi ruvidi e sezioni che si rincorrono come da tradizione progressive metal. Eyes Wide Open è un’altra grande canzone che presenta delle forme tipicamente pop, riuscendo tuttavia a contenere in quella struttura elementi dal taglio tecnico e raffinatezze per i più esigenti. L’ambiente si stringe nelle strofe, più introspettive e cupe, per poi aprirsi nei ritornelli ariosi e coinvolgenti, in cui la voce di Belew offre un’ottima performance. L’apertura dolce e fiabesca di Elektrik viene brutalmente spazzata via da una sezione ritmica incalzante ed elettronica: in tutto lo strumentale vi è una componente sintetica molto forte che trasmette una netta sensazione di freddezza. La tecnologia ha fatto il suo corso e le atmosfere che contraddistinguevano alcuni pezzi del passato storico del gruppo si sono riadattate ad un panorama futuristico. L’esplosione finale di Elektrik è da brividi ed esprime un disagio lancinante, che rimanda a sonorità dal sapore addirittura “opethiano”. In un andamento circolare, il pezzo si chiude nella stessa maniera con la quale si era aperto, lasciando spazio a Facts of Life. La breve intro distende momentaneamente l’atmosfera, introducendo con alcuni stacchi di batteria secchi e precisi il brano vero e proprio. La voce distorta di Adrian Belew si destreggia in maniera acida e velenosa in versi di ottima fattura. concetti assoluti. Nessuno sa cosa realmente accada quando si muore e, indipendentemente da cosa si sceglie di credere, alla fine non conta se in vita abbiamo avuto ragione o meno nelle nostre scelte. La canzone ha un gran tiro di natura tipicamente hard rock, grazie anche alla sporca e possente batteria di Mastellotto, riuscendo egregiamente a dipingere la follia della metropoli in copertina. Part II: Power Circle è un ottimo esempio di frippertronics, che costruiscono un’atmosfera dal sapore orientaleggiante, un lungo viaggio elettronico nello spazio profondo, che poi sfocia in una dimensione quasi onirica e rilassata. Sui ritmi tribali, rientrano le parole filtrate che aprono il disco e una batteria soffice e morbida. Il pezzo gode di ottimi spunti, ma risulta in certi momenti eccessivamente prolisso, facendo gravare sulle impressioni generali quella struttura articolata, senza un vero punto di decollo. Il medesimo problema è del tutto assente invece in Dangerous Curves, che ricorda moltissimo The Talking Drum di Larks’ Tongues in Aspic, scritta esattamente trent’anni prima di The Power to Believe, nel lontano 1973. Lo strumentale gode della medesima progressione: è un brano perennemente in ascesa che si sviluppa nel continuo aggiungersi di strumenti e di trame musicali. Le terzine alternate battono un tempo assolutamente trascinante e coinvolgente, fino alla distorta esplosione finale, agghiacciante e sconvolgente. Con Happy With What You Have to Be Happy With tornano le strutture hard rock, secche e taglienti. Il virtuosismo solista di Fripp, dissonante e sfuggente come sempre, è accompagnato dai diversi registri vocali di Belew, che si alterna tra il pulito del ritornello e il distorto delle strofe sporcate. Il risultato finale è un pezzo grintoso e graffiante che, seppur ritoccato con alcuni cambiamenti, era già stato anticipato nell’omonimo EP del 2002, che vedeva al suo interno numerose idee riprese in The Power to Believe. La terza parte del tema del disco, ovvero Part III: Deception of the Thrush, segue il filo completamente irregolare e folle della seconda. Qui le sperimentazioni sulle percussioni elettroniche di Mastellotto raggiungono l’apice, con un risultato senza ombra di dubbio originale, ma non del tutto coinvolgente. L’approccio tecnologico e rigido trasmette una forte freddezza che, nonostante l’esplosione sonora, fatica a lasciare qualcosa di tangibile all’ascoltatore. Le frippertronics tornano protagoniste della scena in Part IV: Coda, che non aggiunge e non toglie nulla al disco, chiudendolo definitivamente in maniera un po’ troppo distaccata”.
(Metallized.it)
“I numerosi fedelissimi di Robert Fripp hanno una buona occasione per ampliare la loro collezione con due titoli nuovi. In ordine di pubblicazione, il primo è un EP che contiene undici brani: alcuni sono frammenti di breve durata (“Bude”, “Mie gakure”, “She shudders”, “I ran” e “Clouds”), c’è la quarta parte di “Larks’ tongues in aspic” (che compariva anche nel precedente “The construKction of light”), la traccia-fantasma “Einstein’s relatives” e la title-track è un anticipo della seconda pubblicazione, “The power to believe”, nuovo album in studio dei King Crimson. Non si tratta di un doppio acquisto inutile: l’EP infatti non si limita a fare da trailer e offre diverso materiale non incluso nel lavoro maggiore. Non ci sono novità musicali di particolare rilievo alla corte del Re Cremisi, ad eccezione della parziale sorpresa rappresentata dal pezzo portante dell’EP (incluso in versione poco più breve anche nell’album), che presenta il gruppo in una veste dura, verrebbe da dire quasi nu-metal. La complessità ritmica del brano però è di chiara matrice Crimson e non lascia spazio al dubbio che si tratti di un improbabile tentativo di cercare nuovi ammiratori fra i seguaci dei Korn. Oltre a “Happy with what you have to be happy with”, ci sono “Eyes wide open” (in versioni diverse su EP e album) e “Potato pie” (solo sull’EP) a mostrare Fripp e i suoi compari impegnati a scrivere qualcosa di simile a canzoni, senza ovviamente rispettarne le strutture classiche. Ma il punto focale dello stile dei King Crimson di oggi sono composizioni complesse, basate in gran parte sulle tessiture chitarristiche ordite dal leader e da Adrian Belew. Non c’è dubbio che il gruppo sia una macchina rodatissima e che Trey Gunn e Pat Mastelotto siano musicisti perfettamente in grado di tenere il passo dei più celebri compagni. “The power to believe” ha tutte le qualità per farsi amare dallo strumentista in vena di approfondire la propria tecnica, ma proprio per questo può anche scoraggiare l’ascoltatore poco interessato all’argomento e poco avvezzo ad atmosfere cupe come “Level five” o “The power to believe III”. Se negli anni ’80 la band sembrava volersi proporre in modo più accessibile, i King Crimson di oggi giocano invece a fare i difficili, forti di un passato prestigioso e consapevoli di assomigliare solo a se stessi. Qui sta il fascino ma anche il limite più evidente della loro musica, che rischia di chiudersi in un universo a parte, avvicinabile principalmente attraverso lo zelo dello studioso e quello dell’ammiratore devoto: è cibo per la mente, ma fatica a trovare la strada del cuore”.
(Paolo Giovanazzi, Rockol.it)
“Premessa: ogni disco dei King Crimson è un disco importante. Non tanto (non solo) per il blasone ed il peso ‘storico’ che un simile nome comporta, quanto per il fatto che ogni nuova release/incarnazione/manifestazione terrena del Re Cremisi porta avanti un discorso musicale frutto della fede in una precisa filosofia artistica. Laddove la stragrande maggioranza dei gruppi rock si limita, una volta trovata la ‘forma’ vincente, a riproporre la stessa affermazione ancora ed ancora, il gruppo di Robert Fripp investe tutte le proprie energie in un processo creativo che lo trasporti verso la meta successiva di un viaggio che fin dall’inizio sa essere interminabile, e per questo ancora più prezioso ed appagante. Nessun limite a quello che si potrà scoprire, magari senza neppure cercarlo apertamente. Eyes wide open, all the time. ‘Cause you never know what you might see… Avere la ‘forza di credere’ in un tale approccio comporta anche dei rischi e il nuovo album dei King Crimson ne è la prova: questa volta la musica cupa, spigolosa, a tratti ossessiva (di sicuro più scabrosa nell’impatto quasi live delle chitarre rispetto al precedente ‘The ConstruKction Of Light’) fotografa un momento di mutazione, piuttosto che un gruppo compiutamente approdato al livello successivo. Prese singolarmente, la parti che compongono l’album sono di valore notevolissimo: ‘Level Five’ sbuffa, geme, si avvolge su se stessa più volte, guidata dalla batteria di un Pat Mastelotto che cerca di riportare verso territori più analogici il suo crepitare ritmico, ‘Elektrik’ parte come elegiaco a solo di guitar-synth salvo poi aprirsi al meditare di arpeggi intrecciati su bassi distorti per disegnare cangianti arabeschi frattali, ‘Facts Of Life’ è un feroce, quadridimensionale blues cybercubista, ideale pronipote di ’21st Century Schizoid Man’, ‘The Power To Believe II’ costruisce un sinuoso mantra elettronico che sembra arrivare dallo spazio profondo, ‘Dangerous Curves’ accumula su un beat di fondo psuedo-ballabile (trance?) strati su strati di tastiere, percussioni e chitarre in ‘quasi-loop’ a generare una tensione emotiva insostenibile quando giunge il dissonante accordo finale da Giorno Del Giudizio, ‘Happy With What You Have To Be Happy With’ veste di classe immensa grezzi riff new-metal (?!?!) sovrastati da un coro-scioglilingua Beatlesiano in acido, la meravigliosa ballata ‘Eyes Wide Open’ regala l’unico momento di (comunque vigile) serenità, le restanti due parti in cui è suddivisa la title-track alternano roboanti rintocchi di tamburo a liquide aperture cosmiche… Quello che sembra mancare, quello che forse maggiormente indica la delicatezza del momento di transizione attraversato dalla band, è un filo conduttore che dia senso davvero compiuto alla somma delle parti, come avveniva nei due precedenti lavori in studio. Il paradosso, come spesso avviene quando si parla del Re Cremisi, è che questo difetto rende ancora più interessante l’ascolto del disco, obbligando alla ricerca di una chiave di lettura che dovrà probabilmente essere personale per ogni ascoltatore. Inoltre rende doveroso ammirare il coraggio di quattro artisti che hanno affrontato sotto gli occhi di pubblico e critica un cambiamento di pelle con tutta evidenza percepito come necessario per lasciare che la Musica potesse fluire ancora. Un atto di amore e di fede nell’arte, quindi. Non a caso l’album è introdotto e concluso da queste parole: She carries me through days of apathy, She washes over me. She saved my life, in a matter of speaking, when She gave me back the Power To Believe”.
(Metallus.it)

Corre l’anno 2003: la musica sembra totalmente rovinata, con ritmi Hip-Hop e “tunz-tunz-tunz”. In questo momento, la musica è solo un inutile mezzo commerciale, e non più una forma d’arte. Solo un gruppo rispecchia quest’ultima idea: i King Crimson, che fanno uscire il loro ultimo lavoro: “The Power To Believe”, il Capolavoro del 21° secolo. La formazione è composta da: i soliti Fripp e Belew, più Gunn e Mastellotto, che hanno rimpiazzato rispettivamente Levin e Bruford, ovviamente molto più bravi e carismatici. Fino a questo momento, il gruppo ha raccolto grosse delusioni da parte dei fun, con “thrak” e “the construktion of light”, ma con “the power to believe” si sono immediatamente ripresi. La voce di Belew in “The Power to Believe I: A Cappella” introduce al brano più bello dell’album: “Level Five“, un brano molto potente, sia di forza che d’impatto, con Mastellotto che dà il meglio di se; il pezzo parte con una partenza violenta, per poi progredire ad evoluzioni incredibili. Le acque si placano con “Eyes Wilde Open”, un pezzo calmo e pacifico, perfetto per essere un single immaginario dei King Crimson. Si riprende con “Elektrik“, brano molto simile a “Level Five“, ma più vario ed elaborato, con un inizio stile medievale: infatti, Belew fa suonare la sua chitarra come dei fiati. Con “Facts Of Life“, nonostante la sua intro calma, si ritorna all’atmosfera iniziale, molto violenta, con un intermezzo stile metal; beh, strana questa violenza, perchè il titolo significa, più o meno: “vita sessuale”. Ma questa è un’altra storia… Poi la seconda parte di “The Power To Believe”: un brano ambient, con sonorità tribali ed arabeggianti. Segue un altro pezzo “atmosferico”: “Dangerous Curves”, ovvero “The Talking Drum” in versione moderna; infatti il brano si sviluppa totalmente con un crescendo continuo, a ritmo quasi di Disco Music, fino all’esplosione finale. Si continua con “Happy with what you have to be happy with”(!), a mio parere il brano più cattivo e metallaro dell’album, altro singolo immaginario dei King Crimson. Si termina così con gli ultimi “The Power to believe III & IV: Coda“; il primo è quasi violento, che riprende più o meno le sonorità di “Level Five“, mentre il secondo è una semplice chiusura di Soundscapes, con Belew che chiude l’album… L’album lascia una grande soddisfazione, alla fine dell’ascolto. Un vero capolavoro… Perchè oltre ad essere ben elaborato, lega perfettamente tanti generi, come il Metal, l’ambient, e soprattutto l’avanguardia. Ma ora mi pongo una domanda, che vi prego di rispondere: “Questo è il classico canto del cigno dei King Crimson, oppure il proseguimento di una gloriosa carriera?

(Debaser.it)