“Immaginario Giapponese”, mostra fotografica di Giorgio Cosulich e Giulio Napolitano

di Alessandro Ceccarelli

Si inaugura domani 29 maggio a Roma presso la Galleria Dozoo (Via Palermo 53, ore 18,30), la mostra fotografica di Giorgio Cosulich de Pecine e Giulio Napolitano, una sorta di reportage fotografico realizzato esclusivamente con gli iPhone nelle città giapponesi di Tokyo, Osaka, Kyoto, Nara e Hiroshima. Le fotografie raccontano con grande realismo un immaginario fatto di reminescenze, di contrasti e di soprese, che i due fotografi colgono nella spontaneità della vita quotidiana. Armati solo di un telefono cellulare – mezzo d’elezione dei due fotografi, che da anni hanno fatto dell’immediatezza e della discrezione dello strumento un valore aggiunto per la loro ricerca – mimetizzati nel flusso dei turisti, identici in tutto e per tutto ai milioni di altri in cerca di una bella immagine, di una foto ricordo, di una fugace testimonianza visiva, si sono confusi nella folla per le strade. abbiamo raggiunto al cellulare Giorgio Cosulich per scambiare quattro chiacchiere su questa interessante mostra su un Paese affascinante, sofisticato e complesso come il Giappone, in passato mirabilmente descritto da un grande cronista del calibro di Goffredo Parise con il libro “L’eleganza è frigida”.

L’immensa area metropolitana di Tokyo supera i 36 milioni di abitanti, quindi una sorta di megalopoli, quali aspetti avete cercato di raccontare?

Gli aspetti della vita di tutti i giorni, deli usi e costumi che si manifestano per strada, nei ristoranti, nei negozi, in metropolitana, nei templi, ad un mercato, etc…Abbiamo cercato di cogliere con spontaneità gli aspetti del vivere quotidiano di un paese così lontano e così diverso dal nostro modo di vivere e di concepire le regole.
Quasi completamente rasa al suolo dai bombardamenti statunitensi durante la Seconda Guerra Mondiale, Tokyo appare come una moderna metropoli nordamericana, attraverso le vostre fotografie quali differenze e similitudini avete potuto mostrare?Ciò che si nota più di ogni altra cosa è l’operosità e la serietà che permetto ad una civiltà come quella giapponese di rinascere in breve tempo da qualsiasi genere di maceria e ricostituire lo stato di fatto, meglio di prima. Ma, oltre che essere efficiente, essendo un popolo anche molto creativo l’architettura che oggi svetta a Tokyo riflette la visione avveniristica che quel paese ha del futuro, con le migliori tecniche antisismiche e in perfetto equilibrio con il passato.Decidendo di fare un reportage in una città come Tokyo, cosa avete voluto evidenziare tra l’aspetto urbanistico, sociale e umano?Abbiamo messo al centro del nostro racconto l’essere umano ed il suo rapporto con l’ambiente metropolitano, in una stretta sinergia di equilibri e funzionalità.Da diversi anni state approfondendo il tema della mobile photography, pensate che per le fotocamere digitali il destino sia ormai segnato?Assolutamente no, oggi abbiamo la possibilità di scegliere lo strumento che più è congeniale per noi e per il genere di immagini che dobbiamo scattare. Lo smartphone è solo un nuovo strumento che ci consente di catturare immagini di qualità. Non è uno strumento sostitutivo, ma alternativo, anche se di fatto per comodità e praticità una buona parte della fotografia di oggi viene prodotta con gli smartphones. Questo genere di strumento ha senza dubbio le sue qualità, come l’immediatezza e possibilità di condivisione, ed in base a queste può essere utilizzato per migliorare il lavoro finale. Questa mostra è stata realizzata interamente con iPhone e post-prodotta con app professionali di fotoritocco, dimostrando ancora una volta che l’immagine fotografica di qualità non è legata al mezzo con la quale si scatta, ma alla consapevolezza e alla sensibilità che ognuno di noi ha dentro di se quando scatta delle fotografie. Per concludere, avete scelto di contrapporre scatti in bianco e nero al colore, perchè e come vi siete distribuiti i ruoli?È nato tutto spontaneamente, ognuno di noi ha cominciato a scattare scegliendo il colore o il bianco e nero. Io ho scelto quest’ultimo perché in quel periodo, autunno 2016, stavo sperimentando una certa post produzione del bianco e nero con una serie di applicazioni e volevo includere anche il lavoro di Tokyo. Alla fine il progetto ha assunto una sua identità e i due stili così diversi, tra quello di Giulio Napolitano ed il mio, si sono incastrati benissimo nel ritratto di un paese in cui è predominante il contrasto tra tradizionale e moderno.