“E’ necessario imparare a sopravvivere alle sconfitte. E’ in quei momenti che si forma il carattere”
(Richard Nixon)
di Alessandro Ceccarelli
La controversa vicenda politica e umana di Richard Nixon si consuma nelle drammatiche fasi delle sue dimissioni avvenute 43 anni fa. Per la prima volta nella storia la Corta Suprema “inchiodava” un presidente degli Stati Uniti in carica e gli poneva un ultimatum: la consegna dei nastri oppure la conseguente incriminazione per le intercettazioni abusive nei confronti del partito Democratico ordinate dallo stesso inquilino della Casa Bianca. Dal 1972 al 1974 Nixon fu “braccato” dalla stampa, soprattutto dal Washington Post che portò alla luce la vicenda dello spionaggio politico che fu definito scandalo Watergate perché era il nome dell’edificio dove il partito Democratico aveva il suo quartier Generale. Cerchiamo di ripercorrere le fasi salienti di questo celeberrimo scontro di poteri all’interno della più grande potenza del XX Secolo.
La notte del 17 giugno 1972 Frank Wills, una guardia di sicurezza che lavorava nel complesso di uffici del Watergate Hotel a Washington, notò un pezzo di nastro adesivo sulla porta fra il pozzo delle scale e il parcheggio sotterraneo. Stava mantenendo la porta socchiusa, così Wills lo rimosse, presumendo che l’avesse messo lì l’impresa di pulizia. Più tardi ritornò e scoprì che il nastro era di nuovo al suo posto. Così Wills contattò la polizia di Washington. Dopo che la polizia arrivò, cinque uomini – Bernard Barker, Virgilio González, Eugenio Martínez, James W. McCord Jr. e Frank Sturgis – furono scoperti ed arrestati per essere entrati illegalmente nel quartier generale del Comitato nazionale democratico, la principale organizzazione per la campagna e la raccolta fondi del Partito democratico. Gli uomini erano entrati nello stesso ufficio anche tre settimane prima, ed erano tornati per riparare alcune microspie telefoniche che non funzionavano e, secondo alcuni, per fare delle fotografie. L’addetto stampa di Nixon – Ron Ziegler – rigettò l’affare come un “furto di terz’ordine”. Sebbene lo scasso fosse avvenuto in un momento sensibile, con la campagna elettorale che appariva all’orizzonte, molti americani inizialmente credettero che nessun presidente col vantaggio che Nixon aveva nei sondaggi sarebbe stato così sconsiderato e privo di etica da rischiare la sua associazione in un affare del genere. Una volta accusato, lo scassinatore McCord si identificò come un agente della Cia in pensione.
I giornalisti del “Washington Post”, Bob Woodward e Carl Bernstein, iniziarono un’investigazione sullo scasso. Molto di quello che pubblicavano era noto alla Fbi e ad altri investigatori governativi – questi erano spesso le fonti di Woodward e Bernstein – ma in tal modo il Watergate si mantenne sotto la luce dei riflettori. Il rapporto di Woodward con una fonte segreta di altissimo livello aggiungeva un livello di mistero in più alla questione. Il nome in codice di questa fonte era “Gola profonda” e la sua identità fu tenuta nascosta al pubblico. L’8 gennaio 1973 gli scassinatori originali, insieme a Liddy e Hunt, subirono il processo. Tutti eccetto McCord e Liddy si dichiararono colpevoli, e tutti furono condannati per cospirazione, furto con scasso e intercettazioni telefoniche. A questo punto iniziava la “lenta agonia” di Richard Nixon disposto tutto pur di rimanere saldamente sulla sua poltrona. Questo suo atteggiamento “ottuso” lo portò alla rovina totale.
Il 13 luglio 1973, il vice consigliere del Comitato Watergate, Donald Sanders chiese ad Alexander Butterfield, vice assistente al presidente, se ci fosse un qualche tipo di sistema di registrazione alla Casa Bianca. Butterfield rispose che sebbene fosse riluttante a dirlo, c’era un sistema che automaticamente registrava ogni cosa nello Studio Ovale. La rivelazione scioccante per l’opinione pubblica americana, trasformò radicalmente le indagini sul Watergate. I nastri furono subito citati contemporaneamente dal procuratore speciale (special prosecutor colui che si occupa delle indagini) Archibald Cox e dal senato, perché potevano provare se Nixon o Dean stavano dicendo la verità sugli incontri chiave. Il presidente negò sempre con ostinazione la presenza di nastri e la vicenda, ormai enorme ed imbarazzante, finì sui banchi della Corte Suprema, il massimo organo della giustizia americana.La Corte suprema il 24 luglio del 1974, con un atto senza precedenti, ordinò al presidente degli Stati Uniti di consegnare i nastri incriminati.
Richard Nixon, trincerato nello Studio Ovale, come un moderno Riccardo III, si sentiva invincibile e invulnerabile. Non si accorgeva invece che tutto il suo “apparato illegale di potere” si stava sgretolando. Tutti i componenti del suo staff elettorale furono condannati per aver ostacolato le indagini sullo scandalo Watergate. Si dimise il vice presidente Spiro Agnew e i principali consiglieri politici di Nixon: Hildeman e Hunt. Il presidente era praticamente solo contro il Paese che chiedeva giustizia e soprattutto la verità. Gli Stati Uniti si chiedevano: Nixon ha mentito alla nazione? A causa di queste accuse a molti dei suoi collaboratori, la posizione di Nixon era sempre più compromessa e fu così che la Camera dei rappresentanti decise di intraprendere un’inchiesta formale per un possibile impeachment (messa in stato di accusa) del Presidente. Per la prima volta nella storia degli Stati Uniti, il “comandante in capo” è accusato di reati molto gravi. Il 27 luglio 1974, la Commissione Giudicante per la Camera dei Rappresentanti votò a favore dell’impeachment di Nixon (27 voti favorevoli e 11 contrari) con l’accusa di aver ostacolato il corso delle indagini. Il 29 luglio e il 30 luglio 1974, la stessa Commissione Giudicante imputò al Presidente Nixon altre due accuse, abuso di potere e ostacolo al Congresso. Ormai il destino del capo della Casa Bianca era segnato. Nulla poteva salvarlo. Il “leone indomito” si arrese l’otto agosto del 1974. Richard Nixon annunciò le sue dimissioni per non essere incriminato. La forza della democrazia aveva vinto. Fu sostituito dal repubblicano Gerald Ford che poi venne sconfitto nel 1976 dal democratico Jimmy Carter. Il contestatissimo Richard Nixon morì a New York l’8 aprile del 1994. Hollywood ha dedicato due film all’uomo politico: il memorabile “Tutti gli uomini del presidente” (1976) con Dustin Hoffman e Robert Redford” e “Frost-Nixon” (2008) di Ron Howard, su quello che rimane come il più controverso e contestato presidente della storia degli Stati Uniti d’America.