Cinema: “Taxi Driver”, lo sguardo inquieto di Martin Scorsese

La locandina del film “Taxi driver” di Martin Scorsese

Nel 1976 Martin Scorsese diresse Robert De Niro in un film epocale e innovativo

 

“La solitudine mi ha perseguitato per tutta la vita, dappertutto. Nei bar, in macchina, per la strada, nei negozi, dappertutto. Non c’è scampo: sono nato per essere solo”

(Travis Bickle, Taxi Driver)

“In ogni strada di questo paese c’è un nessuno che sogna di diventare qualcuno. E’ un uomo dimenticato e solitario che deve disperatamente provare di essere vivo”

(Taxi Driver)

 

di Alessandro Ceccarelli

Tre artisti, un capolavoro

Sono passati poco più di 41 anni dall’uscita di “Taxi Driver”, il film che fece di Martin Scorsese, uno dei registi più importanti e innovativi del cinema statunitense degli anni ’70. La quinta pellicola del cineasta italoamericano segnò la definitiva maturità di uomo che ha dedicato la sua vita alla settima arte con una passione e una dedizione quasi maniacale. E’ un film esistenzialista di un regista che ha rappresentato gli umori e le angosce di un popolo, di una società, quella statunitense, in un momento di profonda crisi dopo la tragedia del Vietnam e per lo scandalo Watergate. Tre persone sono state decisive per la realizzazione di tale opera d’arte che ha profondamente cambiato il cinema contemporaneo: il regista Martin Scorsese, lo sceneggiatore Paul Schrader e l’attore Robert De Niro, allora tutti poco più che trentenni.

Martin Scorsese, classe 1942, dopo aver studiato cinema alla New York University, si era fatto notare dalla critica con l’inquietante, “The Big Shave” (1967), un cortometraggio di appena cinque minuti che già descriveva l’arte e lo stile del giovane cineasta. Ecco un ricordo dello stesso Scorsese: “Sono quasi riuscito a convincermi che si trattava di un film contro la guerra del Vietnam, che quel tizio che si rade meticolosamente e finisce col tagliarsi la gola era un simbolo dell’americano medio di quei tempi. Avevo anche pensato di chiudere con immagini d’archivio del Vietnam, ma erano inutili”. Due anni dopo debuttò con “Chi sta bussando alla mia porta” con il suo amico Harvey Keitel. Nel 1972 diresse Barbara Hershey e i fratelli Carradine in “America 1929, sterminateli tutti”, un gangster movie ambientato durante la Grande Depressione. Con il successivo “Mean Streets” (1973), Scorsese affina il suo stile e il suo modo di concepire il cinema. Grazie alla presenza di Harvey Keitel e del giovanissimo Robert De Niro, il regista newyorchese racconta con uno stile originale e documentaristico, la vita di Little Italy, popolata da emarginati e piccoli criminali che lottano ogni giorno per una manciata di dollari. E’ un film profondamente autobiografico e Scorsese riprodusse per la prima volta l’ambiente proletario italoamericano con la sensibilità e lo sguardo di un antropologo. La critica specializzata lodò immediatamente questo film così innovativo e realistico che vinse il National Society of Film Critics e il premio a Robert De Niro come miglior attore non protagonista dall’Associazione dei critici di New York.

Paul Schrader, classe 1946, divenne una figura di spicco come sceneggiatore nei primi anni ’70 della cosiddetta New Hollywood per poi passare con successo dietro la macchina da presa. La sua gioventù era stata profondamente segnata dall’osservanza della religione calvinista. Le sue opere hanno narrato con grande realismo e introspezione psicologica la solitudine, il senso di colpa e la redenzione. Scrisse “Yakuza” (1974) diretto da Sidney Pollack, prima di raggiungere il grande successo internazionale con il soggetto di “Taxi Driver”. Nel 1978 debuttò alla regia “Blue Collar”, interpretato da Harvey Keitel. Nel 1980 trionfò in tutto il mondo con “American Gigolò”, uno dei suoi film migliori e più rappresentativi dal punto di vista della regia e della scrittura.

Robert De Niro, classe 1943, prima di “Taxi Driver” era già considerato come uno dei migliori attori del cinema internazionale. Aveva vinto un Oscar per il “Padrino parte II” nel 1974. Il suo debutto risaliva al 1968 in “Ciao America” di Brian De Palma e dopo una serie di film minori si era fatto notare dalla critica nel film “Batte il tamburo lentamente” (1972) di John Hancock. Grazie all’amicizia con Martin Scorsese, De Niro ottenne grandi consensi per la sua straordinaria interpretazione di Johnny Boy in “Mean Streets”. Con “Taxi Driver”, Robert De Niro divenne uno degli interpreti di punta del nuovo cinema americano degli anni ’70 insieme ai colleghi Al Pacino, Dustin Hoffman, Robert Redford e Jack Nicholson.

Taxi Driver, esistenzialismo metropolitano

L’idea del film venne direttamente da un brutto periodo della vita privata di Paul Schrader. Era stato lasciato dalla sua compagna e per alcuni mesi fece una vita da sbandato: dormiva in macchina, beveva tutto il giorno e girovagava senza meta per New York. Partendo da questo segmento di vita in preda alla solitudine, alla depressione e all’alcol, Schrader scrisse una sceneggiatura straordinaria, realista; esistenziale nel tracciare con profonda partecipazione emotiva tutti i personaggi del film. Robert De Niro interpreta un reduce del Vietnam che prende la licenza di tassista perché la notte non riesce a dormire. Jodie Foster, che durante le riprese aveva poco più di 12 anni, è una giovane prostituta innamorata del suo ‘pappone’ (uno stupefacente Harvey Keitel). Peter Boyle, caratterista eccellente del cinema Usa degli anni ’70, è uno stravagante collega tassista di De Niro. Infine Albert Brooks e Cybill Shepherd, due impiegati che lavorano nello staff del senatore Charles Palantine, completano il cast di “Taxi Driver”.

Le riprese furono effettuate interamente a New York tra giugno e settembre del 1975, esattamente quarant’anni fa. Il cast tecnico scelto da Martin Scorsese fu come al solito di altissima qualità: Michael Chapman alla fotografia, Marcia Lucas, Tom Rolf e Melvin Shapiro al montaggio, Charles Rosen alle scenografie, Tony Parmelee agli effetti speciali ed infine il leggendario compositore Bernard Herrmann si occupò della colonna sonora. In soli quattro mesi e con un esiguo budget di 1,3 milioni di dollari, Martin Scorsese firmò un capolavoro del cinema che influenzò profondamente intere generazioni di registi di tutto il mondo. Il regista italoamericano stupì la critica internazionale per il suo stile narrativo e cinematografico: “Taxi Driver” era la logica prosecuzione di “Mean Streets”, con notevoli passi in avanti per l’aspetto visivo e per la minuziosa descrizione dei personaggi, delle situazioni umane ed esistenziali. Il film è una sorta di trattato antropologico sulla solitudine, sull’emerginazione e sulla violenza urbana di una grande metropoli come New York. La ‘grande mela’, spesso ritratta nello splendore e nella grandiosità dei suoi grattacieli, viene invece descritta da Scorsese nel suo lato oscuro e inquietante. Travis Bickle, il protagonista assoluto del film, vive in un profondo disagio e squallore esistenziale. Tutta la sua esistenza è permeata dalla solitudine: il suo appartamento è un anonimo tugurio sporco e trascurato, come è sporco e vecchio il suo taxi dove passa gran parte della sua vita quotidiana; infine sono disadattati e banali i suoi colleghi di lavoro. La sua esistenza si trascina sempre più in basso finchè avvengono alcuni episodi che cambieranno radicalmente la sua vita. Travis, corteggia un’impiegata dello staff del senatore Palantine ma viene brutalmente ‘mollato’ dopo averla portata in un cinema porno. Questa vicenda scuote profondamente il tassista che decide di dare una svolta alla sua esistenza: vuole ‘salvare’ a tutti i costi una giovanissima prostituta conosciuta in strada per caso e si convince infine che tutti i suoi problemi sono causati e rappresentati dall’ipocrisia della politica. Il tassista interpretato con straordinaria intensità da Robert De Niro organizza un goffo tentativo di uccidere il senatore Palantine che viene però sventato dalla sicurezza. Riesce invece l’intento dello stralunato tassista-eroe di togliere dal giro della prostituzione l’adolescente Iris in una lunga sequenza di violenza, orrore e morte che è entrata di diritto nella storia del cinema.

“Taxi Driver” venne distribuito nelle sale americane l’8 febbraio del 1976 e fu immediatamente osannato dalla critica internazionale. Nel 1976 si aggiudicò la Palma d’Oro al Festival di Cannes, ricevette quattro nomination all’Oscar, due al Golden Globe, ottenne tre Premi Bafta (L’Oscar britannico) ed infine due David di Donatello in Italia. A distanza di quarant’anni “Taxi Driver” conserva interamente il suo immenso valore artistico e la sua straordinaria importanza estetica del linguaggio cinematografico.

 

Nella foto a sinistra Jodie Foster, al centro Robert De Niro e a destra Martin Scorsese

 

RIFLESSIONI DI MARTIN SCORSESE

“Devo ammettere che mi sembra di non aver più la capacità di ascoltare musica nuova, forse perché tanta di questa musica nuova sembra nascere dalla musica che ha accompagnato la mia gioventù. In fondo, mi piace risalire a musica sempre più antica. Negli anni dell’epoca formativa dei Rolling Stones la loro musica era davvero essenziale per me, io con la musica ci vivevo.  Nel corso degli anni, mi sono accorto che la loro musica nasce dal blues. E guarda caso io amo molto il blues. In un certo senso, la loro musica mi ha fatto scoprire il blues. La verità della loro musica deriva dal blues. È la loro versione del blues. È la loro riaffermazione, la loro rielaborazione. Questo è duraturo. E il blues incarna certi aspetti, certe sensazioni che noi tutti condividiamo in quanto esseri umani. E questo uno lo sente o non lo sente dentro di sé”.

“È stato Fellini a spingermi verso il mio cinema. Ci sono pochi registi che hanno allargato il nostro modo di vedere e hanno completamente cambiato il modo in cui sperimentiamo questa forma d’arte. Fellini è uno di loro. Non basta chiamarlo regista, era un maestro. Nella mia mente i film si dividono tra quelli fatti prima de La dolce vita e quelli dopo. La dolce vita ha rotto l’unità delle regole della narrazione grazie alla sua audacia. Ha cambiato la storia.“ Per me è uno dei più grandi film mai realizzati. Perché va direttamente al cuore della creatività, la creatività nel cinema, che è circondato da infinite e fastidiose distrazioni e varietà di follia. E per il fatto che la storia di Guido diventa una sorta di storia di tutti noi, diventa viva, vibrante, va verso il sublime”.

 

 

FILMOGRAFIA DI MARTIN SCORSESE