Fu il più geniale allievo dell’Actor’s Studio fondato da Elia Kazan. Dopo di lui la recitazione cambiò
Col. Kurtz: “Mi aspettavo uno come lei. Lei che cosa si aspettava? Lei è un assassino?”
Cap. Willard: “Sono un soldato”.
Col. Kurtz: “Né l’uno né l’altro. Lei è solo un garzone di bottega che è stato mandato dal droghiere a incassare i sospesi”.
(Marlon Brando in “Apocalypse Now”)
di Alessandro Ceccarelli
La recitazione prima di Marlon Brando
Prima di lui Hollywood era popolata da grandi divi come James Stewart, Clark Cable, Humphrey Bogart e John Wayne. Con l’apparizione di Marlon Brando è avvenuta una vera e propria rivoluzione nell’arte della recitazione. Se gli attori di un tempo erano figure irragiungibili, eroiche, invincibili, con Brando entra prepotentemente in primo piamo l’introspezione psicologica, il realismo, le fragilità, le contraddizioni e l’ambiguità dell’animo umano. Egli è infatti il primo allievo del celebrato Actor’s Studio fondato da Elia Kazan nel 1947 che trasformerà profondamente il cinema e il teatro americano. Dopo Brando si affermeranno attori del calibro di Paul Newman, James Dean, Monty Clift, Dustin Hoffman, Robert Duvall, Al Pacino, Harvey Keitel, Robert De Niro e tanti altri. Tutti avranno come punto di riferimento le innovazioni psicologiche ed espressive dell’insuperabile Marlon Brando, l’attore più geniale del cinema americano.
Marlon Brando nasce a Omaha, in Nebraska, il 3 aprile del 1924, terzo figlio di Marlon Brando Sr, un produttore di alimenti di pesticidi e prodotti chimici, e da Dorothy Julia e fin dall’infanzia venne soprannominato Bud, per differenziarlo dal padre. La sua famiglia aveva origini tedesche, olandesi, inglesi, irlandesi e francesi. Brando era sempre in conflitto con suo padre, mentre teneva molto a cuore sua madre. i genitori divorziarono quando lui aveva 11 anni e la madre si prese i suoi tre figli ed andarono a vivere ad Ada in California. Poi i genitori si riconciliarono nel 1937 e si risposarono a Chicago. Il giovane si avvicina presto al teatro e alla recitazione. Brando è stato un allievo di Stella Adler dalla quale apprende le tecniche del Metodo Stanislavskij. Questa tecnica ha incoraggiato il futuro attore ad esplorare i propri sentimenti e le esperienze del suo passato che sono state determinanti per la creazione del proprio carattere sul palcoscenico.
L’esordio al cinema
Nel 1944, appena ventenne, Brando fece il suo debutto teatrale a Broadway in “I Remember Mama”, commedia agrodolce di John Van Druten. Nel 1946 è apparso a Broadway nel ruolo del giovane eroe nel dramma politico “A Flag is born” di Ben Hecht rifiutandosi di accettare salari al di sopra del tasso normale di un attore, a causa del suo impegno nell’indipendenza dell’Israele. Terminati i corsi all’Actor’s Studio di Lee Strasberg, per il giovane attore giunse ben presto il successo teatrale nel 1947, con l’interpretazione di Stanley Kowalski nel dramma “Un tram che si chiama Desiderio” di Tennessee Williams.
La carriera teatrale
Il debutto di Brando come attore cinematografico (genere in cui si rivelerà quanto mai versatile) risale al 1950 in “Il mio corpo ti appartiene” di Fred Zinnemann, in cui interpretò un reduce paraplegico della Seconda Guerra Mondiale. Brando trascorse un mese a letto in un Ospedale per prepararsi bene al ruolo. La pellicola fu inserita anche nella lista dei migliori dieci film dell’anno.
La costruzione del mito
Dopo il successo della versione teatrale, Brando riporta in versione cinematografica il film “Un tram che si chiama desiderio”. Si tratta di una delle sue migliori interpretazioni di sempre. La reazione della critica fu molto positiva nei confronti di Brando che fu subito etichettato come un altro giovane sexy symbol di Hollywood. Gli spettatori erano così convinti della sua performance che anni dopo Marlon Brando ha dichiarato: “Ancora oggi mi capita di incontrare persone che pensano di me automaticamente come un duro, insensibile, un tizio grosso di nome Stanley Kowalski. Essi non possono farne a meno, ma, è preoccupante”. Questo ruolo gli fece inoltre guadagnare la sua prima nomination agli Oscar. Nel film venne affiancato dall’attrice Vivien Leigh che riuscì ad aggiudicarsi l’ambita statuetta come miglior attrice protagonista.
Dopo questo grande successo, Brando affrontò il ruolo di Emiliano Zapata in “Viva Zapata!” (1952), ancora di Elia Kazan, che gli valse il “Prix d’interprétation masculine” al festival di Cannes come miglior interpretazione maschile, oltre che una seconda nomination agli Oscar come miglior attore protagonista. Nella pellicola, i suoi compagni di recitazione furono Jean Peters, Anthony Quinn (quest’ultimo si aggiudicò l’Oscar come miglior attore non protagonista) e Joseph Wiseman. L’anno seguente seguì il ruolo di Marco Antonio in Giulio Cesare (1953) di Joseph L. Mankiewicz, affiancato dall’amico James Mason. Anche questo gli valse una nomination agli Oscar sempre nella categoria miglior attore protagonista ed anche un Bafta quale miglior attore internazionale (premio tra l’altro già vinto con il film precedente).
Lo stesso anno ottiene il ruolo principale nel ruolo di un ribelle appassionato di motocicletta (anch’egli un “rebel without a cause” come quello di James Dean) ne “Il selvaggio” (1954), diretto da László Benedek, in cui l’attore apparve guidando una moto Triumph. “Il selvaggio” fu il primo film che interpretò da protagonista assoluto. Le immagine di Brando in sella o in posa sulla moto diventarono subito leggendarie. Dopo l’uscita del film, le vendite di giacche di pelle e di blue jeans sono schizzate alle stelle. Riflettendo sul film nella sua autobiografia, Brando affermò che “la pellicola non ha una buona età e sembra essere soltanto messo in scena”. Nel 1954 interpretò la parte di Terry Malloy nel suo film rimasto forse più famoso, “Fronte del porto”, di nuovo di Elia Kazan. Finalmente riesce ad aggiudicarsi l’ambita statuetta agli Oscar come miglior attore. Brando ha collaborato anche con Elia Kazan per alcune scene che riguardavano il suo personaggio e il carattere di quest’ultimo, come quando ha voluto mantenere la scena in cui il suo personaggio teneva in mano una pistola contro suo fratello. Kazan ha espresso profonda ammirazione per la comprensione istintiva di Brando, dicendo “quello che è stato straordinario, a mio parere, è il contrasto del carattere da duro e la delicatezza estrema ed il getto delicato del suo comportamento”.
Dopo la vincita del Premio Oscar, la carriera del divo prende una piega non proprio ottimale dal punto di vista qualitativo. L’attore interpretò Napoleone Bonaparte nel noioso “Desirèe”(1954), il fiacco musical “Bulli e pupe”(1956) e il monocorde “Sayonara”(1957). I film ebbero un grande successo di pubblico ma si trattava di soggetti non adatti alla complessa personalità dell’attore. Il decennio si conclude con “Il giovani leoni” (1958) in cui disegna con realismo la figura di un biondo ufficiale nazista.
Il decennio del declino
Negli anni Sessanta il mito di Brando comincia ad offuscarsi. Film sbagliati segnano un inesorabile declino del suo status di star. Il suo primo film come regista (dopo l’abbandono di Stanley Kubrick) con “I due volti della vendetta” (1961) è visto negativamente dalla critica mentre sono flop al botteghino “I morituri” (1963), “I due seduttori” (1964) e “La contessa di Honk Kong”(1967) di Charlie Chaplin. L’unico successo commerciale di quel periodo è “L’ammutinamento del Bounty” (1962). Le migliori interpretazioni di Brando sono invece per “La caccia” (1966) di Arthur Penn” e “Riflessi in uno specchio d’oro” (1967) di John Huston. Soprattutto nel film di Huston, la star interpreta un ufficiale impotente e segretamente omosessuale, maltrattato e umiliato dalla moglie (una straordinaria Liz Taylor). Anche “Queimada” (1969) fu un flop al botteghino. Per Hollywood l’attore è ormai al capolinea. Tutti i film dove è presente non hanno successo.
La rinascita negli anni ‘70
Due registi, Francis Ford Coppola e Bernardo Bertolucci, sono gli autori della “rinascita” di Marlon Brando. Grazie a “Il padrino” e “Ultimo tango a Parigi”, entrambi del 1972, Marlon Brando tornò ad essere una superstar e si aggiudicò il secondo Oscar della sua carriera. La figura di Don Vito Corleone è diventata un’icona mondiale, l’archetipo del boss mafioso dai modi imprenditoriali. Il personaggio tormentato e sofferto nel film di Bertolucci sbalordì la critica mondiale: fu uno spaccato scioccante e realistico della fragilità umana. Una figura disperata che cerca di comunicare la propria solitudine attraverso il sesso più estremo. Dopo “Missouri” (1976) – interessante western atipico di Arthur Penn in cui la star si confronta con un altro mostro sacro: Jack Nicholson – il maturo Brando è scritturato in uno dei film più discussi e osannati di tutti i tempi: “Apocalypse Now” di Francis Ford Coppola.
Anche se l’attore è presente nella parte finale, tutto il film è pervaso dalla sua magnetica presenza. Il dialogo finale con il giovane Martin Sheen è entrato nella storia del cinema, grazie anche alla straordinaria luce caravaggesca di Vittorio Storaro. Brando, anche se visibilmente ingrassato, è considerato la massima espressione della recitazione cinematografica. Nessuno possiede il suo magnetismo e il suo carisma. Nel decennio successivo, ormai appagato e disinteressato al cinema, appare solo in due film, “La Formula” (1981) e in “Un’arida stagione bianca”(1989). Negli anni ’90 è più richiesto e spicca soprattutto in “Il coraggioso”(1997), primo film come regista di Johnny Deep. E’ la sua migliore interpretazione della parte finale della sua lunga e gloriosa carriera. La sua ultima apparizione è in “The Score” (2001) in cui recita con due grandi attori, protagonisti delle generazioni successive alla sua, Robert De Niro e Edward Norton.Ormai obeso (pesava oltre 140 chili) e con vari problemi fisici, si è spento a Los Angeles il 1° luglio del 2004 per una crisi respiratoria.
IL METODO STANISLAVISKIJ
Il metodo Stanislavskij è uno stile di insegnamento della recitazione messo a punto da Konstantin Sergeevič Stanislavskij (che solitamente lo chiama psicotecnica) nei primi anni del ‘900. Il metodo si basa sull’approfondimento psicologico del personaggio e sulla ricerca di affinità tra il mondo interiore del personaggio e quello dell’attore. Si basa sulla esternazione delle emozioni interiori attraverso la loro interpretazione e rielaborazione a livello intimo. Per ottenere la credibilità scenica, il maestro Stanislavskij creò esercizi che stimolassero le emozioni da provare sulla scena, dopo aver analizzato in modo profondo gli atteggiamenti non verbali e il sottotesto del messaggio da trasmettere.
I risultati dei suoi studi furono raccolti in alcuni volumi. Nel 1938 pubblicò Il lavoro dell’attore su se stesso e nel 1957 uscì postumo Il lavoro dell’attore sul personaggio.
Se il metodo Stanislavskij pone alle basi dell’arte dell’attore il concetto dell’immedesimazione, il metodo opposto si deve allo studio dell’opera di Bertolt Brecht, che invece basa la tecnica recitativa sulle capacità di straniamento. Il metodo nasce tra la fine del secolo e gli inizi del Novecento dalle puntigliose annotazioni di Stanislavskij sulle proprie esperienze. Egli cercò poi di trasmetterlo agli attori con risultati diversi e da qui si sviluppa anche il suo interesse per la scuola e la pedagogia.
Le prime bozze del metodo sono redatte nel 1906 e nel 1909 vede la luce una prima versione del sistema per recitare. Questa bozza era fortemente ispirata dall’esperienza degli attori al Teatro d’arte di Mosca, cercando di codificare le somiglianze nei metodi di recitazione, in modo da poterne trasmettere la tecnica alle nuove generazioni di artisti. Nel 1911, Stanislavskij è in grado di mettere alla prova con attori le tecniche da lui codificate e, di conseguenza, di insegnarle. Le vicende della Rivoluzione Russa creano al teatro non pochi problemi e durante una tournée in America, egli scrive il primo dei suoi libri. Al suo ritorno si dedica ai classici e all’insegnamento del suo metodo. Si può affermare che l’importanza del metodo sta soprattutto nel fatto che, per la prima volta, il processo creativo dell’attore venga sottoposto ad un’analisi rigorosa da parte di un attore competente, lui stesso, capace di utilizzare alcuni principi della moderna psicologia.
Due sono, per Stanislavskij, i grandi processi che sono alla base dell’interpretazione: quello della personificazione e quello della reviviscenza.
Il processo di personificazione parte dal rilassamento muscolare per proseguire con lo sviluppo dell’espressività fisica, dell’impostazione della voce, della logica e coerenza delle azioni fisiche e della caratterizzazione esteriore.
Il processo di reviviscenza parte dalle funzioni dell’immaginazione e prosegue con la divisione del testo in sezioni, con lo sviluppo dell’attenzione, l’eliminazione dei cliché, e l’identificazione del tempo-ritmo. La reviviscenza è fondamentale perché tutto ciò che non è rivissuto resta inerte, meccanico ed inespressivo. Ma non basta che la reviviscenza sia autentica: essa deve essere in perfetta consonanza con la personificazione. Infatti, a volte, una reviviscenza profonda è deformata da una personificazione grossolana, dovuta a un apparato fisico non allenato e incapace di trasmettere quello che l’attore sente.
L’ACTORS STUDIO
Fondata nel 1947 da Elia Kazan, Cheryl Crawford e Robert Lewis, provenienti dal Group Theatre, improntarono gli insegnamenti basandosi sul famoso Metodo Stanislavskij, insegnatogli negli anni trenta dal regista Richard Boleslavski, appartenente a un gruppo di emigranti russi, facenti parte dell’American Laboratory Theatre, che sostenevano la tecnica recitativa improntata al massimo di realismo psicologico. Nel 1950 Lee Strasberg ne assunse la direzione, carica che mantenne fino alla sua morte nel 1982; divenne maestro di molti aspiranti attori, divenuti successivamente “star del cinema”, tra cui: Anne Bancroft, Marlon Brando, James Dean, Marilyn Monroe, Paul Newman, Al Pacino, Harvey Keitel, Shirley MacLaine, Eli Wallach, Lauren Bacall, Robert De Niro, Susan Sarandon, Meryl Streep, Steve McQueen, Nastassja Kinski, Laura Dern e molti altri. Gli attuali presidenti sono Ellen Burstyn, Al Pacino e Harvey Keitel. Ne esiste anche una seconda sede a West Hollywood diretta dall’attore Martin Landau e dal regista Mark Rydell.
FILMOGRAFIA DI MARLON BRANDO
Il mio corpo ti appartiene (The Man), regia di Fred Zinnemann (1950)
Un tram che si chiama Desiderio (A Streetcar Named Desire), regia di Elia Kazan (1951)
Viva Zapata!, regia di Elia Kazan (1952)
Giulio Cesare (Julius Caesar), regia di Joseph L. Mankiewicz (1953)
Il selvaggio (The Wild One), regia di László Benedek (1953)
Fronte del porto (On the Waterfront), regia di Elia Kazan (1954)
Désirée, regia di Henry Koster (1954)
Bulli e pupe (Guys and Dolls), regia di Joseph L. Mankiewicz (1955)
La casa da tè alla luna d’agosto (The Teahouse of the August Moon), regia di Daniel Mann (1956)
Sayonara, regia di Joshua Logan (1957)
I giovani leoni (The Young Lions), regia di Edward Dmytryk (1958)
Pelle di serpente (The Fugitive Kind), regia di Sidney Lumet (1959)
I due volti della vendetta (One-Eyed Jacks), regia di Marlon Brando (1961)
Gli ammutinati del Bounty (Mutiny on the Bounty), regia di Lewis Milestone (1962)
Missione in Oriente – Il brutto americano (The Ugly American), regia di George Englund (1963)
I due seduttori (Bedtime Story), regia di Ralph Levy (1964)
I morituri (Morituri), regia di Bernhard Wicki (1965)
La caccia (The Chase), regia di Arthur Penn (1966)
A sud-ovest di Sonora (The Appaloosa), regia di Sidney J. Furie (1966)
La contessa di Hong Kong (A Countess from Hong Kong), regia di Charlie Chaplin (1967)
Riflessi in un occhio d’oro (Reflections in a Golden Eye), regia di John Huston (1967)
Candy e il suo pazzo mondo (Candy), regia di Christian Marquand (1968)
La notte del giorno dopo (The Night of the Following Day), regia di Hubert Cornfield (1968)
Queimada, regia di Gillo Pontecorvo (1969)
Improvvisamente, un uomo nella notte (The Nightcomers), regia di Michael Winner (1972)
Il padrino (The Godfather), regia di Francis Ford Coppola (1972)
Ultimo tango a Parigi, regia di Bernardo Bertolucci (1972)
Missouri (The Missouri Breaks), regia di Arthur Penn (1976)
Superman, regia di Richard Donner (1978)
Apocalypse Now, regia di Francis Ford Coppola (1979)
La formula (The Formula), regia di John G. Avildsen (1980)
Un’arida stagione bianca (A Dry White Season), regia di Euzhan Palcy (1989)
Il boss e la matricola (The Freshman), regia di Andrew Bergman (1990)
Cristoforo Colombo – La scoperta (Christopher Columbus: The Discovery), regia di John Glen (1992)
Don Juan De Marco – Maestro d’amore (Don Juan DeMarco), regia di Jeremy Leven (1995)
L’isola perduta (The Island of Dr. Moreau), regia di John Frankenheimer (1996)
Il coraggioso (The Brave), regia di Johnny Depp (1997)
In fuga col malloppo (Free Money), regia di Yves Simoneau (1998)
Apocalypse Now Redux, regia di Francis Ford Coppola (2001)
The Score, regia di Frank Oz (2001)
PREMI E RICONOSCIMENTI
Premio Oscar
1952 – Nomination al miglior attore protagonista per Un tram che si chiama desiderio
1953 – Nomination al miglior attore protagonista per Viva Zapata!
1954 – Nomination al miglior attore protagonista per Giulio Cesare
1955 – Miglior attore protagonista per Fronte del porto
1958 – Nomination al miglior attore protagonista per Sayonara
1973 – Miglior attore protagonista per Il padrino
1974 – Nomination al miglior attore protagonista per Ultimo tango a Parigi
1990 – Nomination al miglior attore non protagonista per Un’arida stagione bianca
Golden Globe
1955 – Miglior attore in un film drammatico per Fronte del porto
1955 – Nomination Henrietta Award
1956 – Henrietta Award
1957 – Nomination al miglior attore in un film commedia o musicale per La casa da tè alla luna d’agosto
1958 – Nomination al miglior attore in un film drammatico per Sayonara
1964 – Nomination al miglior attore in un film drammatico per Missione in Oriente
1973 – Miglior attore in un film drammatico per Il padrino
1973 – Henrietta Award
1974 – Henrietta Award
1990 – Miglior attore non protagonista per Un’arida stagione bianca
Premi BAFTA
1953 – Miglior attore protagonista per Viva Zapata!
1954 – Miglior attore protagonista per Giulio Cesare
1955 – Miglior attore protagonista per Fronte del porto
1959 – Nomination al miglior attore protagonista per I giovani leoni
1973 – Nomination al miglior attore protagonista per Il padrino
1974 – Nomination al miglior attore protagonista per Ultimo tango a Parigi
1990 – Nomination al miglior attore non protagonista per Un’arida stagione bianca
HANNO DETTO DI LUI
Warren Beatty
“Marlon Brando è stato più di un attore particolarmente dotato e influente. E’ stato anche un cittadino con larghe prospettive sociali. Generoso con la sua amicizia, era anche un buon vicino infinitamente divertente. Ad Annette (Bening) e a me mancherà molto”.
Francis Ford Coppola
“Con Marlon non è mai stato difficile lavorare. Il suo comportamento era un po’ eccentrico sul set. Era come un cattivo ragazzo e faceva quello che voleva. Ma come attore non è mai stato difficile”.
Robert Duvall
“Marlon Brando aveva una sagacia innata, trovava il modo di fare le cose meglio di chiunque altro. Una delle grandi tragedie è che Brando non ha sviluppato il suo enorme potenziale. Era davvero il padrino di giovani attori degli anni Settanta e anche di oggi. Più di Laurence Olivier”.
John Huston
“Brando aveva qualcosa di completamente diverso, Brando aveva in sé qualcosa di esplosivo… un fuoco senza fiamma, pericoloso, in procinto di accendersi, a volte. Era come una porta del forno che si apre… il caldo veniva fuori dallo schermo. Non conosco un altro attore in grado di farlo”.
Jack Nicholson
“Se c’è qualcosa evidente nella vita, è proprio questo. Gli attori non vanno in giro discutendo su chi sia il migliore attore del mondo, perché è ovvio… è Marlon Brando. Non c’è nessuno, né prima né dopo come Marlon Brando. Ero al liceo quando ho visto “Il selvaggio”. Ha cambiato la mia vita per sempre. Un artista monumentale, non c’era modo di seguire le sue orme. Era semplicemente troppo grande, ha veramente scosso il mondo”.
Al Pacino
“Ogni volta che mi imbatto in Marlon Brando sul set, il mio viso diventa rosso, hai idea di quello che è stato per me fare una scena con Brando? Mi sono seduto nei cinema quando ero un bambino guardando Brando in “Un tram chiamato desiderio” e “Viva Zapata!”. E poi ho recitato una scena con lui. (…) L’ho amato. Era una persona così sensibile. Ha visto le difficoltà che ho avuto sul set de “Il Padrino” e credo di aver visto un po’ di se stesso quando era giovane. Ero in soggezione”.