Il generale Usa rapito il 17 dicembre 1981 e liberato il 28 gennaio 1982
di Alessandro Ceccarelli
Verona, 28 gennaio 1982, ore 11 e 20, con uno spettacolare blitz dei Nocs (Nucleo Operativo Centrale Speciale di Sicurezza, l’unità dell’antiterrorismo della polizia) viene liberato in appena 90 secondi il generale statunitense James Lee Dozier, rapito dalle Brigate Rosse il 17 dicembre del 1981.
Si chiude un dramma che aveva riportato l’Italia ai tempi della tragedia di Aldo Moro, con in più le forti pressioni del governo americano, in quanto l’alto ufficiale era dell’Us Army. La liberazione del militare Usa ha significato anche l’eliminazione della temibile colonna veneta delle Brigate Rosse comandata da Antonio Savasta il cui pentimento segnò l’inizio della fine dell’organizzazione terroristica.
Per capire l’importanza di questo punto di svolta nei confronti della lotta armata occorre tornare indietro di un mese. Siamo sempre a Verona, è il 17 dicembre di un freddo pomeriggio umido e ventoso. Sono da poco passate le 17. Un commando di brigatisti con a capo Savasta, suona il campanello dell’appartamento del generale in Lungadige Capena. L’alto ufficiale apre e viene subito aggredito e picchiato dai cinque terroristi. La moglie del generale grida ma non c’è nulla da fare: vengono entrambi legati e imbavagliati.
Gli uomini del commando Br lasciano la moglie in bagno e portano via il generale a bordo di un pulmino diretto alla periferia di Padova.
Alle ore 23 dello stesso giorno arriva all’Ansa la rivendicazione per via telefonica: “Qui Brigate Rosse, abbiamo rapito il boia della Nato James Lee Dozier. Ora è rinchiuso nel carcere del popolo e sarà sottoposto al giudizio del proletariato”. Il governo italiano presieduto da Giovanni Spadolini è colto totalmente di sorpresa. Anche il presidente Usa Ronald Reagan è colpito dall’atto terroristico nei confronti di un suo concittadino. Il ministro degli Esteri Colombo e il ministro dell’Interno Rognoni mettono in funzione subito un’unità di crisi e isolano Verona e d’intorni. Le indagini, che sembrano immediatamente difficili e complesse, vengono affidate agli uomini dell’Ucigos (Ufficio Centrale per le Investigazioni e le Operazione Speciali), alla Digos (ex polizia politica) più sette agenti della Cia e dell’Fbi.
La Nato dichiara che il generale rapito non è depositario di alcun segreto militare di rilevanza strategica. Intanto il militare Usa è incatenato sotto una tenda da campeggio in un appartamento ed è costretto ad ascoltare musica hard rock ad altissimo volume con delle cuffiette. I terroristi diffondono altri comunicati nei giorni seguenti e anche una foto del generale dietro la famigerata stella a cinque punte, come nella macabra iconografia del sequestro Moro.
Le forze dell’ordine brancolano nel buio. Il ministro Rognoni è sottoposto a pressioni inaudite dal governo americano per trovare e liberare il generale. La svolta decisiva delle indagini avviene a Verona tra il 26 e il 27 gennaio: nel corso di un posto di blocco della polizia viene fermato un giovane che perde il controllo e si dichiara subito come un membro delle Brigate Rosse. Si chiama Ruggero Volinia. Per gli inquirenti è la svolta. Il militante è sottoposto ad un lungo e “stringente” interrogatorio: alla fine cede e rivela il luogo dove si trova il generale Dozier. Ora per il governo italiano arriva il momento più difficile: organizzare il blitz per liberare l’ostaggio. Il brigatista arrestato conduce le forze dell’ordine a Padova in via Ippolito Pindemonte 2, luogo dove si trova il generale e i brigatisti. Gli inquirenti studiano bene il luogo, l’edificio e le strade circostanti. Si prepara una pianta dettagliata dell’appartamento di cinque vani al primo piano di un palazzo popolare, proprio sopra un supermarket.
I preparativi per l’azione cominciano all’alba del 28 gennaio. L’intervento è affidato a dieci Nocs, coperti da agenti della polizia in borghese. Via Pindemonte è una strada popolare, piena di gente tranquilla, e bisogna agire con cautela. Nei pressi del portone è messo in funzione un buldozer che con il suo frastuono coprirà ogni possibile rumore, e che giustifica la deviazione di tutto il traffico dalla ‘zona calda’.
Quando tutto è pronto viene dato il via: sono le 11 e 15 di mattina del 28 gennaio. Un cenno e, come in un film d’azione, uomini di Nocs e poliziotti si catapultano verso il fabbricato. I primi salgono le scale sino all’ingresso dell’appartamento; gli altri si allargano a ventaglio sul marciapiede. I Nocs sono armati sino ai denti, con il volto coperto dal passamontagna che lascia vedere solo gli occhi. Una sola spallata e la porta si schianta. I ragazzi rimbalzano dentro. L’attimo di sorpresa dei cinque brigatisti è il loro punto di forza. Sotto la tenda da campo, un brigatista punta una rivoltella alla tempia di Dozier. Le frazioni di tempo sono vitali. Un Nocs allunga una gamba in una mossa di karate e riesce a far volare via l’arma. Poi prende il terrorista per le spalle e l’immobilizza. I terroristi non hanno letteralmente il tempo di premere il grilletto. I reparti speciali danno fondo al loro repertorio, senza mai usare le armi. Altri tre investigatori e un agente della Digos, sono rimasti fermi sul pianerottolo. Hanno il compito di coprire le spalle all’avanguardia dei Nocs. Dall’interno una voce grida “Tutto ok”. Sono passati esattamente 90 secondi”. I cinque brigatisti escono dall’appartamento tutti ammanettati; tre di loro, Antonio Savasta, Emilia Libera e Cesare Di Leonardo sono gli autori materiali del sequestro. Il generale Dozier viene liberato dalla catene: ha una lunga barba bianca ma sembra in buone condizioni. E’ un trionfo senza precedenti del governo italiano nella lotta al terrorismo. E sarà anche l’inizio del rapido declino della “geometrica potenza di fuoco” delle Brigate Rosse.
Il generale Dozier, oggi 87enne vive serenamente in pensione con la moglie a Fort Myers in Florida.