IL CASO TORTORA: “Dunque, dove eravamo rimasti?”

Enzo Tortora dato in pasto ai mass media con tanto di manette il 17 giugno del 1983

Fu la celebre frase di Enzo Tortora quando definitivamente assolto tornò in tv il 20 febbraio del 1987. Un anno dopo morì a soli 59 anni. Sono passati trent’anni dalla terribile ingiustizia subita dal popolare conduttore televisivo

“Dunque, dove eravamo rimasti? Potrei dire moltissime cose e ne dirò poche. Una me la consentirete: molta gente ha vissuto con me, ha sofferto con me questi terribili anni. Molta gente mi ha offerto quello che poteva, per esempio ha pregato per me, e io questo non lo dimenticherò mai.

E questo ‘grazie’ a questa cara, buona gente, dovete consentirmi di dirlo. L’ho detto, e un’altra cosa aggiungo: io sono qui, e lo so anche, per parlare per conto di quelli che parlare non possono, e sono molti, e sono troppi.

Sarò qui, resterò qui, anche per loro. Ed ora cominciamo, come facevamo esattamente una volta”

(Enzo Tortora, 20-2-1987)

di Alessandro Ceccarelli

PROLOGO

IL RITORNO

Un emozionato Enzo Tortora al momento del suo ritorno in Rai il 20 febbraio del 1987 in cui pronunciò la celebre frase “Dunque, dove eravamo rimasti”

 

Dopo aver sopportato per quattro anni con immensa dignità e profonda umiltà le ‘forche caudine’ della giustizia italiana che lo aveva trasformato di un delinquente prezzolato, Enzo Tortora tornò in Rai il 20 febbraio del 1987. Il popolare giornalista e presentatore ci tornò da uomo libero, ci tornò in punta di piedi (con il suo impeccabile stile) come un essere umano definitivamente e totalmente assolto dall’assurda e grottesca sentenza del 17 settembre del 1985 che lo aveva condannato a dieci anni di carcere per traffico internazionale di stupefacenti e associazione a delinquere di stampo camorristico. In quel ritorno Enzo Tortora, visibilmente commosso davanti ad un pubblico in piedi pronunciò quel discorso straordinariamente umano, asciutto, privo di retorica che è rimasto negli annali della storia televisiva italiana. La drammatica vicenda giudiziaria di Enzo Tortora ricorda in parte un bellissimo di film di Nanni Loy del 1970 intitolato “Detenuto in attesa di giudizio” interpretato magistralmente da un intenso Alberto Sordi. In quella pellicola il regista sardo raccontò con profondo realismo le devastanti storture della macchina giudiziaria italiana. Tredici anni dopo Enzo Tortora avrebbe vissuto sulla sua pelle un’esperienza forse ancora più drammatica che lo avrebbe portato alla prematura morte a soli 59 anni. Per sua fortuna riuscì a dimostrare la sua assoluta innocenza prima di riposare (speriamo) in pace.

 UN UOMO PER BENE

Enzo Tortora era un uomo perbene. Era un uomo sincero, onesto e profondamente rispettoso delle persone. Come presentatore televisivo e radiofonico era considerato come uno dei più brillanti, educati e professionali. Enzo Tortora, al pari dei colleghi Mike Bongiorno, Corrado, Pippo Baudo e Alberto Lupo, era l’archetipo del perfetto conduttore televisivo. La sua cifra stilistica era sicuramente la poliedricità (era anche autore di programmi tv e radiofonici, giornalista, scrittore e uomo politico), una perfetta padronanza del linguaggio, un’impeccabile dizione e un acuto senso dell’umorismo. Nato a Genova il 30 novembre del 1928, dopo aver conseguito la laurea in giornalismo entrò in Rai a 23 anni.

 

Enzo Tortora con i grandi presentatori della tv: da sinistra Pippo Baudo, Mike Bongiorno e Corrado

Il SUCCESSO

Nella seconda metà degli anni ’50 Enzo Tortora iniziò la scalata al successo e alla popolarità grazie ai programmi tv come “Telematch” (1957-1958) e “Campanile sera” (1959-1962) in coppia con Mike Bongiorno. Sempre nel 1959 condusse anche l’edizione del Festival di Sanremo. Nonostante la sua eleganza nei comportamenti e nei modi, Enzo Tortora era anche un personaggio scomodo per il suo estremo rigore etico e morale. Nel 1962 fu cacciato dalla Rai per via di un’imitazione di Amintore Fanfani da parte del geniale Alighiero Noschese. Il giornalista ligure lavorò tre anni alla tv svizzera e nel 1967 tornò a lavorare per Radiodue con il fortunatissimo programma “Il gambero”. Tortora lo condusse sino al 1969. Fu un classico appuntamento fisso domenicale dell’ora di pranzo per tutto il decennio successivo e probabilmente il primo quiz che rompeva gli schemi fissi tradizionali di questo genere di trasmissioni.

All’inizio degli anni ’70 Enzo Tortora era all’apice della sua popolarità. Il giornalista lavorò per i quotidiani “La Nazione” e “Il resto del Carlino” e seguì i più importanti processi sugli anni di piombo. Nel 1977 Enzo Tortora ideò e condusse sino al 1983 il celebre varietà televisivo che lo consegnò definitivamente alla storia della televisione: “Portobello”. Le prime puntate del popolarissimo programma furono trasmesse in bianco e nero e in seconda serata, inizio a essere trasmesso a colori dal 6 gennaio del 1978. Il nome del programma si ispirava a quello di una strada di Londra, Portobello Road, famosa per il suo mercatino dell’antiquariato. La trasmissione ebbe un clamoroso successo, superiore alle più rosee previsioni (punte di 28 milioni di telespettatori per l’edizione 1977-78). Molto di esso fu dovuto alla partecipazione diretta al programma della gente comune, che di fatto era la vera protagonista di Portobello, un’autentica novità per la televisione italiana dell’epoca, nonché per alcune scelte del presentatore che risultarono molto audaci per l’Italia di quegli anni, dalla mentalità ancora molto conformista e conservatrice; ad esempio quella d’invitare come partecipanti per la rubrica Fiori d’arancio non solo giovani uomini celibi e donne nubili, ma anche persone single avanti con gli anni, vedove e vedovi, e persone separate o divorziate, scelta per la quale fu aspramente criticato dal mondo cattolico, con tanto d’interrogazioni parlamentari da parte di alcuni esponenti della Dc.

L’ARRESTO

Per Enzo Tortora il 17 giugno del 1983 fu un giorno drammatico, devastante e umiliante. Quel giorno il popolare presentatore televisivo iniziò lentamente a morire, ucciso dalle menzogne, dalle invidie, dai pregiudizi e soprattutto dai clamorosi errori del sistema giudiziario italiano. Venerdì 17 giugno 1983 Enzo Tortora fu svegliato bruscamente alle 4 di mattina dai Carabinieri del Reparto Operativo di Roma. I militari lo ammanettarono senza mezzi termini e gli comunicarono che era accusato di essere un trafficante internazionale di stupefacenti al soldo della Camorra. Il castello dell’accusa da parte del Procuratore di Napoli Francesco Cedrangolo si basava esclusivamente sulle dichiarazioni di undici pentiti della Nuova Camorra Organizzata.

Gli elementi “oggettivi”, di fatto, si fondavano unicamente su un’agendina trovata nell’abitazione di un camorrista, Giuseppe Puca detto ‘O’Giappone’, dove c’era scritto a penna un nome che sembrava essere, inizialmente, quello di Tortora, con a fianco un numero di telefono; il nome, ad esito di una perizia calligrafica, risultò non essere quello del presentatore, bensì quello di un tale Tortona. Nemmeno il recapito telefonico risultò appartenere al presentatore. Un anno dopo il suo arresto, grazie all’interessamento di Marco Pannella, Enzo Tortora fu eletto deputato al Parlamento europeo nelle liste del Partito Radicale. A questo punto il giornalista poteva usufruire del fatto di essere un parlamentare per essere scarcerato (Come fece Tony Negri). Invece il conduttore televisivo prese una decisione clamorosa e unica della storia repubblicana italiana. Tortora era stato condannato in primo grado a dieci anni di carcere (17-9-1985) e il 13 dicembre dello stesso anno si dimise dalla carica e, rinunciando all’immunità parlamentare scelse gli arresti domiciliari. Il 29 dicembre Tortora si consegnò alle forze dell’ordine. Un fatto senza precedenti che dimostrava l’estremo rigore morale ed etico del giornalista.

L’ASSOLUZIONE DEFINITIVA

L’incredibile vicenda giudiziaria di Enzo Tortora, iniziata il 17 giugno del 1983 si chiuse il 15 settembre del 1986 quando la Corte d’Appello di Napoli “assolse con formula piena” il giornalista e conduttore televisivo Enzo Tortora. Infine con il terzo grado di giudizio espresso dalla Corte di Cassazione, il 13 giugno del 1987 si mise la parola fine alla terribile ingiustizia subita dal presentatore genovese, esattamente quattro dopo il suo drammatico arresto.

LA MORTE

Dopo l’assoluzione definitiva di Enzo Tortora e del conseguente ritorno in Rai con Portobello nel febbraio del 1987, la sua vicenda giudiziaria ebbe comunque un impatto non positivo sul gradimento del programma e dopo il ciclo di puntate previste non venne più riproposto. L’ultimo rotocalco tv di Enzo Tortora sempre su Rai2 fu “Giallo” che andò in onda dall’ottobre del 1987 al gennaio del 1988. Il programma fu sospeso per un tumore ai polmoni che aveva colpito il giornalista che si spense a Milano il 18 maggio del 1988. Non è difficile immaginare che la salute di Enzo Tortora fu minata anche dallo scellerato comportamento del sistema giudiziario italiano.

 POST SCRIPTUM

 Per ultimi ho voluto mettere i protagonisti in negativo di questa surreale vicenda giudiziaria e umana, ovvero i giudici di Napoli e i pentiti. Nessuna azione penale o indagine di approfondimento fu mai avviata, né alcun procedimento disciplinare fu mai promosso davanti al Consiglio Superiore della Magistratura a carico dei pubblici ministeri napoletani, che proseguirono le proprie carriere senza ricevere censure per il loro pessimo operato nel caso Tortora . Il vecchio accusatore Gianni Melluso nel 1992 ebbe a ribadire le sue false accuse ma, querelato dalla figlia del presentatore, il Gip Clementina Forleo non ne dispose il giudizio con la seguente argomentazione: l’assoluzione di Tortora rappresenta “soltanto la verità processuale e non anche la verità reale”.Nel 2014 Diego Marmo chiese scusa alla famiglia di Tortora, pur continuando a ritenere corretta la sua condotta dell’indagine. Il procuratore Lucio Di Pietro, dopo vari rifiuti di interviste, compose un racconto professionale della vicenda, in cui ribadiva “l’onestà e la limpidezza professionale del nostro lavoro” e che “con gli elementi a nostra disposizione, non potevamo fare altrimenti”. L’arresto, affermò, era obbligatorio, non esistevano i domiciliari, e “c’erano, in quel momento, altri elementi d’accusa. Vanno sempre rispettati sentenze e processi. Da pm, ho solo fatto il mio lavoro in onestà e buona fede”.

HANNO DETTO DOPO IL SUO ARRESTO

“Signor Presidente della Repubblica, non le sottopongo il caso di un mio collega, ma quello di un cittadino. Non auspico un suo intervento, ma non saprei perdonarmi il silenzio. Vicende come quella che ha portato in carcere Enzo Tortora possono accadere a chiunque. E questo mi fa paura”

(Lettera di Enzo Biagi al presidente della Repubblica Pertini)

“È facile, scampanando retorica e solleticando un mai sopito plebeismo, fare apparire una vittima come un privilegiato”.

“Quando l’opinione pubblica appare divisa su un qualche clamoroso caso giudiziario – divisa in “innocentisti” e “colpevolisti” – in effetti la divisione non avviene sulla conoscenza degli elementi processuali a carico dell’imputato o a suo favore, ma per impressioni di simpatia o antipatia. Come uno scommettere su una partita di calcio o su una corsa di cavalli. Il caso Tortora è in questo senso esemplare: coloro che detestavano i programmi televisivi condotti da lui, desideravano fosse condannato; coloro che invece a quei programmi erano affezionati, lo volevano assolto”.

(Leonardo Sciascia)

“Mi pare che ci siano gli elementi per trovarlo colpevole: non si va ad ammanettare uno nel cuore della notte se non ci sono delle buone ragioni. Il personaggio non mi è mai piaciuto”. E non mi piaceva il suo Portobello: mi innervosiva il pappagallo che non parlava mai e lui che parlava troppo, senza mai dare tempo agli altri di esprimere le loro opinioni. Non mi piaceva neppure il modo con cui trattava gli umili: questo portare alla ribalta per un minuto la gente e servirsene per il suo successo personale era un po’ truffarla. Il successo ottenuto così si paga. Non dico che tutti quelli che hanno un successo di questo genere finiranno così, ma lui lo sta pagando in questo modo. Non ho per ora elementi per dire di più”.

(Camilla Cederna)

“Sveglia, signora Italia. Lei non ha pianto quando hanno arrestato i generali della Finanza, gente che aveva giurato fedeltà alla Costituzione. Lei non ha battuto ciglio quando hanno incriminato decine di pubblici amministratori, personale eletto dal popolo e sospettato di aver tradito la sua fiducia. E adesso lei piange per un divo della Tv. Non faccia la stupida, signora mia, la sua delusione è inopportuna: un uomo di spettacolo non è pagato per essere onesto”

(Giuliano Zincone, L’Europeo).

“Le accuse secondo le quali Enzo Tortora sarebbe implicato nel grande affaire della camorra sono ancora tutte da provare: ma gli inquirenti hanno la convinzione che egli sia caduto nella rete: naturalmente, rete quattro

(«Controcorrente», di Indro Montanelli, il Giornale).

Forse ci diciamo qualcosa, o forse niente. Ringrazio solo chi ha permesso quell’immenso, unico e indimenticabile abbraccio. Mio padre è vestito ancora in jeans e camicia, come quando lo hanno ammanettato. Lo guardo. Non ci sono parole per descrivere un uomo umiliato e offeso. Sono tre giorni che non si cambia, ha freddo. Forse ha dormito vestito. Mi tolgo il golf. Glielo metto. Se potessi, mi leverei la pelle. Alle mie spalle una porta blindata, a destra una grata, dietro la grata un secondino. È giovanissimo, forse ha vent’anni come me. Quando ci vede piangere fa un timido passo indietro. Forse prova qualcosa anche lui. L’angoscia, lo sgomento sono indescrivibili a parole: ricordo le mani sudate, gelide, un groppo continuo alla gola che soffoca le parole. E poi, una grande voglia di scappare. Di uscire via. Ma ci sono sempre le sbarre, e quel maledetto rumore di chiavi a ricordarti dove sei. Le parole, le frasi dette durante il colloquio sembrano poche, mai sufficienti. E sono sempre coperte dalle voci degli altri, di quelli che gridano, piangono o ridono dietro di noi. Quando torna il brigadiere per annunciare la fine del colloquio c’è un grande imbarazzo. Negli occhi di mio padre l’incredulità. Nei miei tanta rabbia. Poi l’ultimo abbraccio. Quello più struggente, che ti porti dentro e dentro per giorni e giorni. Quando esco evito di proposito di vederlo sparire al di là delle sbarre, dietro i cancelli. È una maniera per farsi meno male.

(Silvia Tortora)

“Il più grande esempio di macelleria giudiziaria all’ingrosso del nostro Paese”.

(Giorgio Bocca)