Torna il “Re Cremisi”
I king Crimson degli anni ’80, pur non essendo innovativi e originali come quelli del decennio precedente, andranno ricordati per il sound potente e complesso e per almeno due album di ottimo livello. Robert Fripp dopo aver sciolto la band nel 1974 si era trasferito per alcuni anni negli Stati Uniti e aveva seguito con molta attenzione la nascente new wave newyorchese. Dopo aver collaborato con David Bowie, Peter Gabriel, Brian Eno e Blondie entrò in contatto con i Talking Heads. Con la band di David Byrne suona nello straordinario “Fear of Music” (1979) e diventa amico del chitarrista Adrian Belew, anche lui nella band statunitense. I King Crimson da sempre “immuni” all’evoluzione e ai cambiamenti del rock dopo il declino del progressive in questi primi anni ’80 furono in qualche modo influenzati dalla new wave dell’east cost americana e in particolar modo dal sound dei Talking Heads, la band pù geniale di quel periodo. Ovviamente Fripp, Bruford, Levin e Belew dopo aver ascoltato i Talking Heads e aver suonato nei loro dischi migliori hanno creato un linguaggio piuttosto diverso anche se vi sono tracce delle sonorità della band di David Byrne, figura carismatica e intellettuale della musica statunitense. (A.C)
di Roberto Ceccarelli
“Discipline”, atto I
Nel 1981, dopo lunghi 7 anni, inaspettatamente Fripp reincarna i King Crimson. Siamo alla terza fase in cui il progetto King Crimson si trasforma in “band” poiché l’organico, per la prima volta, resta stabile nei tre album che vanno a costituire la fase stessa. Come sempre Fripp cambia tutto mantenendo solo il “fido” Bill Bruford alla batteria e percussioni. Entrano nella “band” Tony Levin, talentuoso bassista ed interprete di un particolare strumento a 10 corde chiamato “Stick”. Inoltre, per la prima volta, una seconda chitarra di un interessantissimo ed originale musicista e cantante dalla forte personalità: Adrian Belew. Dunque un gruppo di musicisti di grande talento tecnica e personalità, presupposto importante nella genesi compositiva e realizzativa della loro musica. Infatti le sorprese non si fanno attendere con “Discipline”, il primo dei tre lavori che rappresenta una discontinuità ancor più accentuata rispetto allo “strappo” tra la prima e la seconda fase. Il primo aspetto che si nota è una generale contrazione delle composizioni, nonché arrangiamenti più sobri anche se permane la complessità tecnica e compositiva. Certamente fa effetto l’assenza del supporto “sinfonico” del mellotron, ma il “camaleonte” ha cambiato nuovamente pelle e questa volta in modo più radicale. “Discipline” apre con Elephant Talk in cui Levin allo “Stick” esegue nella introduzione una frase composita caratterizzata dalla compresenza della linea del basso e la melodia realizzata nella sezione acuta dello strumento. Subito un colpo di Bruford in contrattempo; siamo in 4/4 anche se la sensazione è di un tempo dispari grazie al continuo spostamento degli accenti. Fripp e Belew dialogano mirabilmente laddove il primo esegue una sorta di arpeggio reiterato ed il secondo si sovrappone con degli accordi affascinanti e ricchi di alterazioni più l’imitazione dei barriti di elefante. Il secondo brano, (Frame by Frame) diviso in tre parti riproposte in modo ricorrente, inizia con un velocissimo e virtuosissimo arpeggio di Fripp la cui perfezione esecutiva potrebbe far pensare ad un “sequencer”, ma in realtà si tratta semplicemente di “sapienza delle mani”. Associato ad esso gli accordi in calando ed in contrattempo di Belew, le rullate metronometriche della batteria ed il basso potente in glissato di Levin, introducono l’accompagnamento vero e proprio di Bruford in uno stupefacente 4/4 completamente sincopato da sembrare un tempo composto: incredibile! La struttura armonica è in crescendo fino al culmine dove inizia la seconda fase con le due chitarre (Fripp e Belew) che si intrecciano in un complicato e vertiginoso arpeggio in 7/8 che introduce alla terza parte in cui la voce di Belew esegue delle strofe cantabili dal sapore struggente. E’ molto interessante l’alternanza delle parti distensive/orecchiabili con quelle più ostiche ed intricate. La costruzione è molto elegante e fruibile nonostante la complessità tecnica grazie alla “statura”dei musicisti. Il terzo brano è una vera e propria dolce ballata dall’andamento “blues”: “Matte Kudasai”. Nell’album vengono proposte due versioni che si distinguono dalla presenza, in una delle due, (versione alternativa) di un solo di chitarra di Fripp. Il brano apre con un cantabilissimo “riff ” di Belew con lo “slide” accompagnato dall’arpeggio di un elegante timbro di chitarra di Fripp che disegna la struttua armonica più alcune note tenute con la tecnica in vibrato della mano sinistra tipica dei violinisti. Si aggiunge la batteria delicata di Bruford che, solo in questa occasione, utilizza il “charleston” per battere i quarti; infine il basso discreto di Levin completa l’elegante quadro introduttivo. Nella seconda strofa appare, sotto il cantato di Belew, la chitarra solista di Fripp che annuncia, con poche magiche note, il vero e proprio solo che si sviluppa nelle successive battute strumentali in tutta la sua struggente liricità. L’equilibrio, l’eleganza degli strumenti e l’arrangiamento, raggiungono livelli straordinari nel loro divenire armonioso. Segue “Indiscipline”, brano estremamente complesso introdotto in crescendo dal duo Levin allo Stick e Bruford alla batteria. Nella versione “live” questa introduzione è dilatata ed ha uno svolgimento più elaborato: i due si “divertono” a spostare in continuazione gli accenti creando un gioco ritmico davvero pregevole tra tempi irregolari e sincopi. Una delizia per chi ama le raffinatezze e le discontinuità del tempo musicale. Al culmine di questa introduzione, si presenta una “esplosione” di strumenti in un tempo dispari di 13/8 da far ricordare “Starless”. Questa atmosfera vertiginosa si evolve tra pieni e vuoti in cui si inserisce la voce parlata e carica di angoscia di Belew. Il brano seguente ( “Thela Hun Ginjeet” ) è estremamente energico, ipnotico e tribale come del resto il cantato di Belew. Le due chitarre si intrecciano con fraseggi in alternanza di movimenti frenetici a parti più quiete, ma sempre dalla struttura cervellotica e mai scontata. Da notare il gran lavoro al basso di Levin che a tratti guida la linea melodica del pezzo. “The Sheltering Sky” è un brano strumentale dalla ritmica etnica e sommessa che resta stabile per tutta la durata della composizione. Levin supporta con lo ” Stick” la percussione di Bruford e gli accordi di Belew alla chitarra. L’atmosfera appare quasi psichedelica e fa da introduzione alla chitarra “Sinth” di Fripp, impegnato in un lunghissimo solo dalla melodia cantabile, almeno nelle prime battute. Successivamente lo sviluppo fraseologico si impreziosisce di elementi virtuosistici tali da rendere la fruizione più impegnativa. Nella sezione centrale Fripp e Belew si scambiano i ruoli, per cui Fripp accompagna con il suo solito stile elegante e Belew si diverte con dei suoni che sembrano imitare l’ondeggiare del mare. Grande lavoro di Levin con lo “Stick” che contemporaneamente suona la linea del basso ed una serie di “tappeti” sonori dal sapore sognante e rarefatto. Nella parte finale Fripp riprende in tema iniziale con la chitarra Sinth e Belew torna a sviluppare la sezione armonica. Il disco si conclude con “Discipline”: brano strumentale molto ordinato, tecnicamente molto complicato da richiedere grande attenzione nell’ascolto. Gli strumenti suonano su tempi diversi con dei funambolici intrecci in stile minimalista. La coda è costituita da un formidabile duo Fripp – Belew mozzafiato. L’album “Discipline” è un’opera complessa che necessita più di un ascolto e di ascolto profondo. La tecnica, le soluzioni, la timbrica, raggiungono alti livelli di creatività ed eleganza. Definirlo un album in slile “New wave” sarebbe assolutamente riduttivo poiché è un disco King Crimson che a distanza di 36 anni resta attuale in tutti i suoi aspetti.
“Beat”, capitolo II
Nel 1982 il gruppo propone il secondo capitolo della terza fase: “Beat”. Il brano d’apertura (“Neal and Jack and Me”) è introdotto dal duo chitarristico Fripp-Belew in stile minimalista a cui si aggiungono Levin allo Stick ed un misurato Bruford alla batteria nel guidare il tempo. Interessante il riff di Levin sul grave dello Stick a dettare la melodia nella parte centrale del pezzo e gli interventi di Belew con fraseggi inusuali. Si aggiunge in chiusura la chitarra sinth di Fripp con le sue note pungenti. La seconda traccia “Heartbeat”, molto breve, ricalca un po lo stile “asciutto” New wave. Segue lo strumentale “Sartori in Tangier” che apre con un gran lavoro di Levin allo Stick, in cui compare un’inaspettato tappeto di organo e si evidenzia la lancinante chitarra sinth di Fripp. “Waiting Man” inizia con un 5/4 realizzato dall’intreccio minimalista di Fripp, Belew e Levin allo Stick: atmosfera vagamente arabeggiante. Si aggiungono le percussioni etniche di Bruford che, nell’evolversi del brano, lasciano il posto alla batteria in 4/4 incisiva e ricca di contrattempi dove il rullante batte dove non te lo aspetti. Sempre molto particolare il solo “rumoristico” della chitarra di Belew. La successiva “Neurotica” è un brano complesso dal sapore post-industriale dove giganteggia Bruford alla batteria, gli accordi ricchi di alterazioni delle chitarre danno il senso di angoscia in un’alternanza di pieni e vuoti da lasciare senza respiro. Segue la dolcissima “Two Hands”, una ballata realizzata con eleganza nello sviluppo melodico della voce, gli arpeggi di chitarra se disegnano un’armonia mai banale (quasi jazzata), le percussioni misurate di Bruford completano il quadro. Nello strumentale entra in gioco il basso discreto di Levin ed una struggente chitarra sinth di Fripp: un piccolo gioiello! Con la successiva ” The Howler” siamo agli antipodi: il brano si presenta ostico e molto energico, dalla melodia poco orecchiabile e ricca di dissonanze; Belew in evidenza con la sua chitarra “rumoristica” rende ancor più angosciante l’atmosfera in una vertigine di suoni. L’album si chiude con lo strumentale “Requiem” il cui preludio fa presagire alle atmosfere sognanti del Frippetronics e la chitarra di Fripp che disegna melodie magiche con la tecnica violinistica della mano destra, tra scale esatonali e glissati. Il brano si evolve, nella parte centrale, in un lancinante free-jazz quasi rumoristico con il supporto della potente batteria di Bruford. La coda torna ad essere quieta con il tappeto del Frippetronics ed il basso di Levin che conduce la melodia.
“Three of a perfect pair”, atto III
Nel 1984 si conclude la terza fase della storia Crimsoniana con la pubblicazione di “Three of a Perfect Pair”. L’album inizia con un brano che da il titolo al disco e che rispecchia lo stile e la tecnica dei precedenti due lavori, ovvero la costruzione della struttura armonica affidata prevalentemente all’intreccio delle due chitarre in arpeggi di tipo minimalista e non dai classici accordi, più l’apporto dello Stick o del basso a seconda dei casi. Naturalmente non si tratta di musica minimalista poiché l’armonia è abbastanza tradizionale con tanto di modulazioni. La difficoltà sta soprattutto nella presenza di poliritmie, cioè gli strumenti procedono in tempi diversi. Ricompare la chitarra acustica, (finalmente) restano sempre imprevedibili i soli di Belew tra dissonanze ed approcci rumoristici. Si sente a tratti un po di influenza pop nella batteria di Bruford. Efficace e coinvolgente il cantato di Belew. Segue “Model Man”, brano pop dalle atmosfere quasi country e con un ritornello sdolcinato da “Festival di Sanremo”. Qui i King Crimson sembrano cadere in una sorta di amnesia stilistico-compositiva: irriconoscibili! Unica nota consolante è l’estrema brevità della traccia. “Sleepless” è un’altra composizione involutiva poiché la monotonia ritmica in stile dance pervade tutta la traccia che non mostra alcuna soluzione interessante nella sua atmosfera vagamente dark. Il brano seguente “Man with an Open Hearth” rappresenta il fondo in tutti i sensi. Non c’è traccia dei King Crimson, è un brano in stile new wave con la reiterazione del ritornello e la ritmica monotona. Con queste tre composizioni il gruppo sembra aver smarrito la strada che li ha sempre contraddistinti come originali, innovativi, eleganti ed imprevedibili nelle soluzioni, ricchi di idee e sempre coerenti con la propria concezione di musica. Con la successiva “Nuages” la band torna ai suoi standard di eccellenza: brano strumentale in cui è presente una sezione ritmica in stile etnico, i tappeti a loop di Fripp che fanno da accompagnamento alla melodia sognante e struggente sovraincisa. Si prosegue con “Industry”, altra composizione strumentale che parte con con un ostinato rullante/basso, i tappeti a loop di Fripp, la linea melodica dolce ed incantevole della chitarra tipicamente Frippiana. Il brano è in crescendo attraverso un inatteso e potentissimo colpo di basso “slappato” di Levin in contrattempo e la batteria di Bruford anche lui scatenato, quindi parte un tema portante e drammatico con la chitarra elettrica, si aggiunge la chitarra rumoristica di Belew a completare il quadro apocalittico di una ipotetica società industriale sull’orlo del baratro. Il brano seguente (“Dig Me”) prosegue l’atmosfera delirante con la chitarra in stile Belew al limite dello psichedelico e la voce angosciante dello stesso, coadiuvato perfettamente dagli altri musicisti nello sfoggio della loro grande tecnica. Siamo in pieno clima sperimentale ma il ritornello, inaspettatamente, è cantabile e quasi disorienta l’ascoltatore abituato all’atmosfera complicata e ricca di dissonanze. Si continua nella sperimentazione con “No Warning” dove Bruford fa da protagonista assieme a Levin con Stick, in sottofondo i tappeti atonali di Fripp ed i rumori allucinanti della chitarra di Belew. Non c’è un momento di cantabilità, siamo fuori dal sistema tonale. L’album si conclude con un brano la cui introduzione è un virtuosissimo e velocissimo arpeggio in tempo dispari di Fripp alla chitarra elettrica: sono 39 secondi di esecuzione sopraffina che solo un musicista dalla tecnica superiore alla media può eseguire. Si aggiungono gli accordi di Belew, batteria di Bruford ( purtroppo in stile dance) ed il basso di Levin. Si tratta della terza versione di “Larks’ Tongues in Aspic” che, al di la della scelta infelice dello stile batteristico “dance” nella prima parte, mantiene il suo fascino. A questo punto Robert Fripp decide di sciogliere per l’ennesima volta i King Crimson in attesa della quarta fase, ma si dovranno attendere circa dieci anni.