“Ricordati: un solo colpo. Il cervo non ha un fucile, e tu devi sparare un solo colpo. Questà è lealtà!”
(Robert De Niro)
di Alessandro Ceccarelli
La guerra del Vietnam nell’inconscio americano
Nella seconda metà degli anni ’70 la società americana si interrogò profondamente sulle conseguenze della tragica esperienza della guerra in Vietnam. Prima di questo lungo doloroso conflitto i soldati Usa erano stati sempre visti come degli eroi, come dei salvatori che andavano a liberare popoli e nazioni dai totalitarismi. Anche a Hollywood i ‘war movie’ erano saturi di propaganda, eroismo, mentre la morte era spesso messa in secondo piano. Con la guerra nel Sud Est asiatico gli Stati Uniti furono costretti per la prima volta a combattere secondo le regole di un nemico invisibile, ben addestrato e capace di sopportare qualsiasi tipo di sofferenza pur di vincere. La tragedia americana in Vietnam pose fine all’immagine degli Usa nel mondo: giovani alti, biondi e sorridenti che scorrazzavano nelle highway con le loro grandi auto. Quella guerra mise a nudo l’incapacità di varie amministrazioni di contenere l’espansionismo sovietico in quella regione del mondo. Le amministrazioni Johnson e Nixon, quelle più compromesse con gli orrori in Indocina non seppero evitare uno dei momenti più drammatici della recente storia americana. Dopo decenni di benessere economico, la supremazia economica e militare senza eguali nel mondo, gli Usa non si resero conto degli errori che commisero pian piano con l’impegno politico e militare in quel piccolo Paese della penisola indocinese.
Le conseguenze furono di non poco conto. Sia a livello economico e soprattutto a livello di coesione sociale. La società americana, impreparata psicologicamente alla sconfitta, impiegò molti anni per “digerire”, un simile smacco internazionale. Quella guerra di logoramento segnò profondamente l’inconscio degli americani. “Il Cacciatore” di Michael Cimino, nel 1978 procurò nuovi dolori e la riapertura di ferite ancora non rimarginate nel tessuto sociale statunitense.
Un amore apologo sull’amicizia
Prima della realizzazione de “Il Cacciatore”, Michael Cimino, classe 1943 (altre fonti affermano che sia del 1939, ndr), si era distinto come uno dei più promettenti sceneggiatori del nuovo cinema americano. Aveva scritto “Silent running” (1971), uno dei primi film di fantascienza con tematiche ecologiche e poi era entrato nelle ‘grazie’ di Clint Eastwood. Con il divo americano aveva debuttato alla regia nel 1974 con il notevole “Una calibro 20 per lo specialista”. Dopo questo promettente film il giovane regista iniziò a scrivere tra il 1976 e il 1977 un soggetto con Deric Washburn sulle tragiche vicende di tre operai di origine russa legati da una forte amicizia che si arruolarono nella guerra del Vietnam. Le riprese si svolsero tra l’estate del 1977 e i primi mesi del 1978. Il cast attentamente scelto da Cimino era incentrato sulla figura di Rober De Niro, uno dei migliori attori emersi all’inizio degli anni ’70. Gli altri interpreti allora erano poco conosciuti come John Savage, Meryl Streep, Christopher Walken e John Cazale. Le lavorazioni del film furono molto faticose, lunghe e impegnative sia per gli attori che per il regista. Robert De Niro molti anni dopo disse che tra i film da lui interpretati “Il Cacciatore” era stato quello più stressante ed emotivamente più coinvolgente.
Una tragedia in tre atti
La struttura narrativa del film è divisa in tre parti ciascuna lunga circa un’ora. La prima parte è incentrata sulla descrizione dei personaggi e dell’ambiente in cui vivono: la cittadina operaia, l’acciaieria dove lavorano, il bar dove si ritrovano e la caccia, la passione che li lega profondamente. In questa prima parte è molto importante la lunga scena del matrimonio di John Savage. Il cinema di Cimino risente molto della lezione del realismo di John Ford (per la descrizione minuziosa dei personaggi) e per lo stile estetico di Luchino Visconti (le scene di ballo nel “Gattopardo”.
Anche se il registro del prologo è incentrato sull’allegria, sulla spensieratezza giovanile e sull’amicizia virile tra De Niro, Walken, Savage a Cazale, si percepisce che l’arruolamento nell’esercito per combattere in Vietnam, cambierà per sempre le loro vite e il loro sincero cameratismo. La prima parte del film termina con scena molto intensa. Il barista (George Dzundza) suona al pianoforte una struggente composizione di Chopin mentre gli altri amici pian piano si commuovono per le note. Poi di colpo di passa all’inferno della guerra: la giungla, il rombo degli elicottori, le fiamme, il fumo e il crepitio delle armi automatiche. La seconda parte incentrata sulla guerra in Vietnam è molto realistica e drammatica. Una sorta di incubo che si abbatte sull’ottimismo dei tre operai americani.
Quando i tre amici vengono catturati dai vietcong si giunge ad uno dei momenti più emozionanti del film: la sconvolgente scena della roulette russa. Con questa scelta altamente drammatica e realistica il regista voleva rappresentare la metafora del suicidio di una Nazione. Il disastroso impegno militare e umano degli Stati Uniti in Vietnam secondo il giovane cineasta segnò la fine dei sogni promessi dall’amministrazione Kennedy con il discorso sulla nuova frontiera. Con questa terribile guerra gli Usa conosceranno l’incubo esistenziale, l’orrore continuo e logorante e soprattutto l’amaro sapore della sconfitta.
La terza ed ultima parte del film è quella più intimista, controversa e struggente. Michael (De Niro) e Steve (Savage), Nick (Walken è invece ‘scomparso’, risucchiato dall’orrore vietnamita) riescono a tornare in patria ma nulla nelle loro vite sarà più come prima: anche il rito della caccia sarà diverso e Robert De Niro non ucciderà il cervo. John Savage è quello segnato nel fisico per la perdita di entrambe le gambe, Christopher Walker il più segnato dal punto di vista psicologico e si toglie la vita giocando alla roulette russa con Niro che era tornato a Saigon per salvarlo e riportarlo in patria. Una scena umanamente straordinaria ed epocale. La morte dell’amico più intimo di Michael rappresenta il suicidio di un Paese incapace di capire se stesso. Infine Robert De Niro, apparentemente quello più forte ed integro non riuscirà a tornare alla normalità: inutile il tentativo di salvare Nick e altrettanto vano il tentativo di amare Meryl Streep (che era la fidanzata di Nick). Il “Cacciatore” è uno dei film più importanti e significativi del cinema americano, un dramma psicologico amarissimo che si chiude con il funerale di Walken e con il sofferto ultimo brindisi che conclude il film con la frase: “A Nick”.