“Ognuno è libero di speculare a suo gusto sul significato filosofico del film, io ho tentato di rappresentare un’esperienza visiva, che aggiri la comprensione per penetrare con il suo contenuto emotivo direttamente nell’inconscio”
(Stanley Kubrick su “2001: odissea nello spazio”)
di Alessandro Ceccarelli
Il cinema e Kubrick prima di “2001”
Nella storia del cinema ci sono state alcune figure che hanno contribuito in maniera determinante all’evoluzione della settima arte. Artisti come David W. Griffith, Jean Renoir, Charlie Chaplin, Orson Welles e John Ford hanno reso ‘moderno’ il mezzo espressivo per eccellenza del XX secolo. Griffith ha dato un enorme contributo dal punto di vista estetico (il suo “Intollerance”, 1916, rimane un film incredibilmente moderno e innovativo), Jean Renoir ha raccontato con profondo realismo e umanità l’orrore della guerra (“La grande illusione”, 1937), Charlie Chaplin, forse il più grande di tutti ha descritto l’essenza stessa dell’umanità, della solidarietà e della pietà con “Tempi moderni, 1936), John Ford che con “Furore”, 1940) anticipò il Neorealismo italiano con un affresco intenso e struggente sulla Grande depressione americana ed infine il geniale “Orson Welles”, il cui “Quarto Potere”, 1941, rimane a tutt’oggi uno dei film più stupefacenti e rivoluzionari della storia del cinema.
Stanley Kubrick, classe 1928, appassionato di fotografia, jazz e scacchi, dopo una serie di cortometraggi nella seconda metà degli anni ’40 debuttò nel 1953 con “Fear and desire”. Si tratta di una pellicola realizzata con uno scarso budget che passò praticamente inosservata. Il giovane cineasta newyorchese, da fiero autodidatta e artigiano (scrisse il soggetto e la sceneggiatura, curò il montaggio e la fotografia) non si diede per vinto e lottando per trovare maggiori finanziamenti girò “Il bacio dell’assassino” nel 1955. Il regista era affascinato dal genere noir che negli anni ’50 era molto apprezzato grazie soprattutto ai film di John Huston ed Elia Kazan.
Con il successivo “Rapina a mano armata”, 1956, Kubrick raggiunse la maturità espressiva e narrativa, concependo un film con un montaggio innovativo. Grazie anche alla presenza di un attore noto come Sterling Hayden, la critica si accorse di questo giovane regista di talento. “Orizzonti di gloria”, 1957, è il primo capolavoro di Kubrick, interpretato magistralmente da Kirk Douglas. Il 29enne regista ‘prese posto’ tra i grandi registi come Ford, Chaplin, Bergman, Huston, Kazan, De Sica e Rossellini. Dopo aver girato il kolossal “Spartacus” nel 1960, Kubrick decise di abbandonare gli Stati Uniti per stabilirsi definitivamente in Gran Bretagna. Il cineasta volle prendere le distanze da Hollywood per avere il totale controllo delle sue opere. Una scelta artistica e umana molto coraggiosa. I suoi primi film ‘europei’ furono “Lolita” del 1962 e lo straordinario “Il dottor Stranamore”, 1963. La prima pellicola, interpreta da Peter Sellers e James Mason è tratta dal celebre romanzo di Nabokov mentre il film successivo, interpretato da Peter Sellers e George C. Scott è una sorta di irriverente ‘black comedy” sui pericoli della guerra nucleare tra Stati Uniti e Unione Sovietica.
Dopo i consensi positivi della critica specializzata per “Il dottor Stranamore”, Kubrick ottenne anche un notevole riscontro al botteghino e le nomination per il miglior film e per la miglior regia. Solo negli Stati Uniti il film incassò nel 1964 oltre dieci milioni di dollari contro un budget di 1,8 milioni di dollari. Dopo questo grande successo Kubrick alzò ancora di più il tiro delle sue ambizioni. Insieme allo scrittore-scienziato Arthur C. Clarke cominciò a lavorare sin dal 1965 a quello che sarebbe diventato “2001: odissea nello spazio”, il film che avrebbe cambiato per sempre la fantascienza e il cinema stesso.
“2001”, la filosofia rende adulta la fantascienza
Prima di “2001”, il genere fantascientifico aveva sempre molto affascinato il cinema. Film come “L’invasione degli ultracorpi”, “Il pianeta proibito”, “La guerra dei mondi” e “Ultimatum alla terra”, avevano avuto un grande successo presso il pubblico ma per molti critici il genere ‘science fiction’ era considerato minore. Dopo l’inquietante “Il pianeta delle scimmie” diretto nel 1967 da Franklin J. Schaffner, e “Fahrenheit 451” (1966) di Francois Truffaut, il genere fantascientifico cominciò a guadagnare più credito e stima presso la critica specializzata.
Stanley Kubrick, grazie ad un budget considerevole di 12 milioni di dollari poté girare tra il 1966 e il 1967 “2001: odissea nello spazio” anche con l’appoggio tecnico degli scienziati della Nasa. Il regista voleva a tutti i costi raggiungere un livello di realismo visivo senza precedenti. L’aspetto più difficile fu la realizzazione dei modellini delle astronavi e renderle realistiche anche a livello fotografico. Per questo si circondò di persone geniali e creative come il ‘mago degli effetti speciali’ Douglas Trumbull, il direttore della fotografia John Alcott, il montatore Ray Lovejoy e gli scenografi Ernie Archer, Harry Lange e Tony Master. Kubrick aveva contattato Clarke perché voleva un buon soggetto di fantascienza per un film di genere. In questo modo il romanzo e il film nacquero e crebbero insieme, realizzando una collaborazione tra media differenti assolutamente unica e originale, almeno per l’epoca in cui fu attuata.
Sotto questo e altri aspetti, “2001” è rimasto uno dei più celebri film di fantascienza che, grazie alla sceneggiatura e alla tecnica di ripresa, riproduce con fedeltà incredibile per l’epoca l’universo: tutti gli avvenimenti in ambienti senz’aria si svolgono in silenzio o con un valzer di Strauss come puro accompagnamento sonoro, l’astronave ha una gravità artificiale per rotazione che è correttamente rappresentata, i movimenti in assenza di gravità sono lenti come dovrebbero essere. Anche la scena in cui un astronauta rientra nell’astronave passando alcuni secondi in un ambiente di vuoto è stata approvata dagli esperti della Nasa come verosimile, dimostrando che è possibile fare un film di fantascienza rispettando la realtà e senza introdurre elementi artificiosi. Tra l’altro il film anticipò di un anno lo sbarco sulla luna della missione Usa Apollo. Ancora oggi a distanza di 49 anni dalla sua uscita il film conserva intatto il fascino, la sua magnificenza estetica e le ambizioni filosofiche.
“2001: odissea nello spazio” con una notevole dose di ambizione cercò di rappresentare (non di spiegare, ndr) l’indissolubile legame che unisce l’uomo al tempo e allo spazio, l’intelligenza artificiale e l’utilizzo della scienza. A questo proposito è di notevole effetto il raccordo tra le due scene iniziali del film, l’utilizzo di un oggetto, un osso, come strumento di offesa e di dominio (e comunque di conquista) da parte di un ominide e le astronavi orbitanti attorno alla Terra. In questa maniera il regista compie un salto logico di millenni conservando la trama narrativa del film, con un’operazione estetica di straordinaria che trova pochi riscontri nella storia del cinema. In estrema sintesi la pellicola di Kubrick, riprendendo il celebre poema di Omero l’Odissea: descrive il viaggio dell’uomo alla ricerca di se stesso, in una sorta di itinerario interstellare iniziatico per scoprire e comprendere le proprie origini.
La struttura narrativa del film è suddivisa in tre parti. La prima (L’alba dell’uomo), descrive la terra di quattro milioni di anni fa. L’uomo si libera delle spoglie rappresentate dalle scimmie grazie ad un ‘intervento esterno’ che è raffigurato da un monolite improvvisamente apparso agli ominidi. Dopo aver toccato la struttura avviene lo straordinario passaggio dalla fase preistorica a quella dell’uomo dello spazio. Ora la civiltà umana è pronta ad affrontare le incognite e i misteri dei viaggi nel cosmo. La seconda parte (Missione Giove), racconta la vita quotidiana degli astronauti della nave spaziale Discovery che sono diretti verso Giove, meta finale del viaggio. Oltre ai due astronauti operativi, ve ne sono altri tre ibernazione. In più è presente il super computer Hall 9000 che praticamente governa tutte le funzioni della Discovery. Kubrick narra magistralmente il nascere del conflitto tra l’uomo e la macchina. Si scoprirà in seguito che a Hall è stato chiesto di nascondere il vero obiettivo della missione ai due astronauti svegli, il comandante David Bowman e il suo vice Frank Poole. Le conseguenze di quest’ordine, che fa nascere un conflitto interiore nel calcolatore, programmato per collaborare con gli esseri umani senza omissioni o alterazioni, iniziano a manifestarsi tragicamente in prossimità dell’arrivo su Giove. Inizialmente Hal avverte un guasto inesistente a un componente per l’orientamento dell’antenna radio in collegamento con la Terra, poi, quando ciò inizia a insospettire gli umani, non trova altra soluzione che tentare di ucciderli, compresi i tre in stato di ibernazione, cui toglie le funzioni vitali facendoli morire. La lunga sequenza in cui uno dei due astronauti sopravvissuti riesce a tornare nella Discovery e disattiva Hall è ricca di tensione emotiva: gli spettatori assistono alla lenta ‘morte’ di Hall che tenta disperatamente di convincere l’astronauta a desistere dalla sua azione. Minuto dopo minuto Hall passa da una voce implorante ad un terribile rantolo sino alla ‘morte definitiva’. Una scena senza precedenti nella storia del cinema.
La terza e ultima parte (quella più complessa e controversa) denominata ‘Giove e oltre l’infinito’ offre una miriade di interpretazioni. Kubrick ha sempre sostenuto che “2001” è un’esperienza visiva e sensoriale e che ogni tentativo di spiegazione oggettiva rischia di sminuire le mire filosofiche ed esistenziali del film. Ecco in sintesi gli avvenimenti della parte finale. Bowman, l’unico superstite della missione giunge finalmente in orbita di Giove e avvista un enorme monolito nero. L’astronauta lascia la Discovery per avvicinarsi con una piccola capsula. Improvvisamente la navicella viene come ‘risucchiata’ da un vortice di colori psichedelici ad altissima velocità. In questa fase l’astronauta vede scorci di stelle, nebulose, panorami di pianeti sconosciuti sino ad un vero e proprio colpo di genio del regista. La galoppata a folle velocità di Bowman in una dimensione stellare ignota si interrompe. Il pilota si trova come per incanto in un grande ambiente arredato in stile Settecento. In questa straordinaria sequenza allucinatoria, l’astronauta vede se stesso invecchiare e seguire le diverse fasi della sua vita. Adagiato nel proprio letto di morte Bowman vede davanti a sé il Monolito. A questo punto con il sottofondo del poema sinfonico di Richard Strauss “Così parlò Zarathustra”, un evidente richiamo all’opera filosofica di Friedrich Nietzsche, l’uomo è finalmente pronto per liberarsi delle spoglie mortali e rinascere in un sorta di ‘feto cosmico” o ‘super uomo’ se vogliamo collegarlo all’opera del controverso filosofo tedesco. E’ senza dubbio un finale che lasciò di stucco molti spettatori e molti critici. Nessuno di prima di Kubrick aveva visualizzato il cosmo con un realismo quasi maniacale e nessuno aveva cercato di raccontare con tante metafore e allegorie i misteri intorno alla nascita della vita sulla terra e l’affermazione dell’uomo sugli altri animali grazie allo sviluppo dell’intelligenza. Il film fu proiettato per la prima volta a Washington il 2 aprile del 1968 e il successivo mese di maggio in tutto il mondo. Si calcola che abbia incassato complessivamente oltre 140 milioni di dollari. La pellicola ebbe tre nomination all’Oscar per la miglior regia, sceneggiatura originale e per gli effetti speciali. Vinse una sola statuetta per gli effetti speciali curati da Stanley Kubrick e Douglass Trumbull.