Musica: Ludovico Einaudi, minimalismo “made in Italy”

Il pianista Ludovico Einaudi

Pianista schivo e riservato, la sua musica senza confini ha conquistato l’Europa

Se fosse una storia sarebbe ambientata sul lungomare di una spiaggia lunghissima. Una spiaggia senza inizio e senza fine. La storia di un uomo che cammina lungo questa riva e forse non incontra mai nessuno. Il suo sguardo si sofferma ogni tanto ad osservare qualche oggetto o frammento portato dal mare, le impronte di un granchio, un gabbiano solitario. Il paesaggio è sempre la sabbia, il cielo, qualche nuvola il mare. Cambiano solo le onde, sempre uguali e sempre diverse, più piccole, più grandi, più corte, più lunghe.”

(Le Onde, Ludovico Einaudi)

 

di Alessandro Ceccarelli

La sua musica è l’antitesi “del facile ascolto” o dell’aggettivo “commerciale”, eppure, si è imposto nel panorama musicale italiano ed europeo anche per le notevoli vendite dei suoi album strumentali. Stiamo parlando del pianista e compositore Ludovico Einaudi. E’ uno dei rari esempi di un musicista colto che, senza la minima concessione al mercato discografico, è riuscito nell’intento di raggiungere consensi da vera e propria “rockstar”.

Ludovico Einaudi nasce a Torino il 23 novembre del 1955. La sua è una famiglia aristocratica: è il nipote di Luigi Einaudi, presidente della Repubblica dal 1948 al 1955 ed è figlio Giulio, il fondatore della prestigiosa casa editrice Einaudi. La sua formazione musicale è rigorosa. Si è diplomato al Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano e poi ha frequentato un corso di perfezionamento con Luciano Berio, pioniere dell’avanguardia e della sperimentazione elettronica nella musica classica. Nel 1982 ottiene una borsa di studio per recarsi al Festival di Tanglewood negli Stati Uniti.

Poi si dedica alla carriera concertistica: le sue composizioni sono eseguite alla Scala di Milano, al Maggio Musicale Fiorentino, a Parigi e al Lincoln Center di New York.Nel 1988 pubblica “Time out” il suo primo album. Il suo debutto è folgorante: composizioni di musica classica contemporanea per piano, tastiere elettroniche e percussioni. Nel 1992 incide “Stanze”, brani per sola Arpa suonata da Cecilia Chailly. Compone il commento musicale di “Treno di panna” (1988) di Andrea De Carlo, “Da qualche parte in città” (1994) e “Acquario” (1996).

Con “Le Onde”, per solo pianoforte, Ludovico Einaudi, raggiunge il grande successo di pubblico e di vendite. Il suo pianismo, mai virtuoso, richiama la poetica di Michael Nyman e Philip Glass, ovvero due tra i più importanti compositori di musica cosiddetta minimalista. Non mancano comunque i riferimenti a Debussy e Chopin. Prosegue il sodalizio per il cinema con “Fuori dal mondo” (1998) di Giuseppe Piccioni.

Nel 1999 è la volta di “Eden roc”, in cui il pianista prosegue la ricerca sperimentale, grazie all’apporto di un quintetto d’archi. Torna al pianoforte solo con “I giorni” (2001) che vende oltre centomila copie. In questo disco Einaudi matura e perfeziona il suo stile asciutto e profondo della ricerca melodica con strutture lineare e con l’accento su pause e sospensioni. Nel 2003 pubblico “La Scala”, registrato dal vivo nel prestigioso teatro di Milano.

Con “Divenire” (2006), Einaudi trionfa nei consensi di pubblico e critica: quasi 400mila copia in Italia e in Europa. Nel disco il sound è arricchito da un quartetto d’archi e effetti elettronici. La popolarità del musicista torinese aumenta con “Nightbook” che raggiunge la vetta delle classifiche internazionali. Secondo l’autore questo disco è quasi un rito pagano che, in crescendo, racconta il raggiungimento di un’estasi». “In a time lapse” (2013) è l’ultimo album per pianoforte, archi, percussioni ed elettronica pubblicato da Ludovico Einaudi, ancora una volta ‘baciato’ da un notevole successo di vendite. Ludovico Einaudi, dopo quasi trent’anni di carriera alle spalle, è una delle realtà più creative e stimolanti del panorama italiano ed è una rara eccezione per l’elevata qualità della sua musica.

Ludovico Enaudi in un video nei ghiacciai artici

 

PENSIERI E RIFLESSIONI DI LUDOVICO ENAUDI

Il mio approccio con la musica: “Mia madre suonava il piano, così io ho cominciato da bambino. Se ripenso ai miei primi studi, devo confessare che l’approccio iniziale con lo strumento non è stato molto gratificante: avevo un maestro che forzava sempre la mia natura e non era mai contento di ciò che facevo. Nell’accostarsi a uno strumento musicale, bisogna seguire le proprie inclinazioni: è necessaria una base tecnica comune, ma il buon maestro è quello che promuove la natura specifica di ogni allievo”.

Le mie influenze classiche: “La musica di Chopin era intrisa di melodie popolari, così come quella di Mozart o di Stravinsky. Il fatto di essere partecipe del linguaggio collettivo di un’epoca permette alla musica di essere compresa da tutti: secondo me, è una cosa molto bella, non trovo ragione valida per rifiutare alcuni aspetti del linguaggio musicale comprensibili a un ampio numero di persone e capaci di muovere emozioni. Io stesso ho ripreso quelle esperienze che mi hanno emozionato, per restituirle al pubblico a modo mio”.

Sul minimalismo: “Mi sembra una parola che appartiene ormai alla storia. Di sicuro ha avuto un significato importante con i maestri del minimalismo americano, come Steve Reich e Philip Glass, che recuperarono quegli elementi musicali messi al bando dal mondo dell’avanguardia, in cui tutto era stato rinnegato. Loro furono i primi a riportare all’interno della musica quegli elementi che in fondo ci sono da sempre, a cominciare da ritmo, armonia e melodia. Non va anche dimenticato il fatto che, contemporaneamente alla negazione di tutto da parte dell’avanguardia, ci furono grandi capolavori all’interno della popular music: nel corso degli anni 60, ancora nel periodo clou della musica d’avanguardia, i Beatles scrivevano alcune melodie stupende. Dicendo questo, non voglio negare il valore di alcune esperienze di ricerca che sono state importanti in un periodo storico; altrettanto storicamente, il minimalismo ha avuto importanza come risposta antagonista, riportando in vita quei valori che erano stati messi da parte. In tempi più recenti, poi, c’è stata una corrente di autori fatti rientrare nella categoria del “minimalismo”, nella quale ogni tanto vengo inserito anche io in modo piuttosto improprio. Certo, magari in un mio albero genealogico potrebbe esser incluso anche il minimalismo; ma sono presenti altre parentele che mi hanno condotto a risultati alquanto diversi”. 

Dischi fondamentali: “Innanzitutto tre album dei Radiohead: “The Bends”, “Ok Computer” e “Kid A”. Li ho ascoltati talmente tanto che ormai li conosco a memoria! Poi amo i Beatles, i Rolling Stones ai tempi di Brian Jones, i primissimi Pink Floyd, in particolare “A Saucerful of Secrets”… mentre non mai digerito un album come “The Wall”. Non posso tralasciare di citare anche Hendrix, Cream, The Who… c’è stato anche un periodo che ho ascoltato King Crimson, Yes e affini. Poi la stagione degli anni 80 è stata quella che mi ha disorientato. Un disco per me molto importante, perché mi ha riavvicinato al rock, è stato “The Joshua Tree” degli U2, gruppo che ho continuato ad amare in “Achtung Baby”. 

LA MUSICA MINIMALISTA

Il compositore La Monte Young, padre spirituale del minimalismo

Il minimalismo è un genere musicale che prese forma negli Stati Uniti negli anni Sessanta grazie alla ricerca di alcuni musicisti come La Monte Young, Terry Riley, Steve Reich e Philip Glass. Le loro composizioni si basano sulla reiterazione di una serie di note, sulla riduzione del materiale musicale tradizionale e su modelli stilistici timbricamente uniformi, tonali. le composizioni minimaliste cambiano progressivamente, ma in modo quasi impercettibile ed apparentemente statico, attraverso le ripetizioni e sovrapposizioni ritmiche di cellule melodiche che possono generare, a volte, tessuti sonori particolarmente complessi. Dalla musica e dalle filosofie orientali, i compositori minimalisti ripresero l’idea di una musica ipnotica e contemplativa che, attraverso le sue proprietà “magiche”, assoggetta il compositore in uno stato di estasi che lo porta a concepire riflessioni esistenziali durante la loro esecuzione.

Concettualmente ispirata alle arti visive d’avanguardia (danza, pittura e teatro) degli anni sessanta ed alla pop art, la musica minimalista include formule musicali appartenenti al jazz e soprattutto alla musica etnica poliritmica, quali quella centrafricana, indonesiana e indiana. Il carattere modale della musica minimalista ha spinto molti a considerarla affine alla musica leggera. Lo stile è basato sulla riduzione graduale dei parametri del suono (altezza, lunghezza, timbro, volume, densità) che vengono fatti decadere fino al loro annullamento. Anticipato dal pianista francese Erik Satie, la cui composizione Vexations ebbe importanti ripercussioni sui compositori “ripetitivi”, e dalle opere di Earle Brown realizzate durante gli anni cinquanta, il minimalismo ebbe modo di affermarsi soprattutto grazie a compositori quali John Cage e Morton Feldman che, ispirati alla pittura d’avanguardia di New York, tentarono di proporre una musica di matrice statunitense.

Sempre grazie a Cage, emerse la necessità, propria dei minimalisti, di rendere la musica contemporanea più “ironica”, meno sperimentale, e totalmente discostata dagli schemi compositivi del passato.I compositori minimalisti emersi dopo Young, Riley, Reich, e Glass includono John Adams, che compose opere spesso accompagnate da una o più voci e connesse con la realtà sociale e politica a lui contemporanea; Michael Nyman che, realizzando composizioni più fruibili rispetto agli altri minimalisti, ricevette una considerevole attenzione da parte di un vasto pubblico; David Rosenboom, Mauricio Kagel, Charlemagne Palestine, Wim Mertens, il polacco Henryk Górecki; l’estone Arvo Pärt, che mostra in molte sue opere un’affinità con il minimalismo, più nell’intento creativo che nel rigoroso rispetto dell’architettura musicale; l’olandese Louis Andriessen che, facendo proprio il concetto di “ripetizione” tipico della musica minimalista, lo ha installato su un tessuto musicale personale e molto cromatico (a differenza degli autori americani, prettamente diatonici); mentre fra gli italiani vanno citati Stefano Ianne nel quale infinite variazioni e microvariazioni rinnovano i temi musicali, Gianmartino Durighello, che creo un connubio tra filosofia minimalista e monodia gregoriana, Ludovico Einaudi, che ha composto prevalentemente melodie pianistiche minimali contaminate da cenni elettronici e Ezio Bosso, direttore d’orchestra e compositore di colonne sonore.

DISCOGRAFIA

MUSICA DA CAMERA

MUSICA PER ORCHESTRA

COLONNE SONORE