Musica: addio a Allan Holdsworth, maestro della chitarra

 

 

 

Il chitarrista e compositore inglese Allan Holdsworth

Si è spento nella giornata del 16 aprile un grande musicista del jazz e della fusion. Addio ad un grande protagonista delle sei corde: Allan Holdsworth era considerato uno dei chitarristi più eclettici e innovativi della fusion e del jazz. Molti suoi colleghi musicisti addirittura lo adoravano. Classe 1946, aveva suonato con i Tempest, Gong, Soft Machine, Uk, Jean Luck Ponty, Stanley Clarke, Level 42, Tony Williams, Bill Bruford e Gordon Beck. Dal 1976 aveva iniziato la carriera solista che consiste in 19 album.

Allan Holdsworth era considerato da molti colleghi uno sperimentatore assoluto e un originale “artigiano” della musica. Per Frank Zappa, Van Halen e Steve Vai era uno dei migliori interpreti della chitarra di sempre. Ecco il messaggio su Facebook della figlia Louise:“E’ con grande dolore che vi informiamo della morte del nostro amato padre. Vorremmo avere tempo e privacy per piangere la perdita del nostro padre, nonno, amico e genio musicale. Vi informeremo sulle modalità di un memoriale pubblico, dove sarete tutti i benvenuti. Siamo ancora sotto shock per questa morte improvvisa e non riusciamo neanche a esprimere la schiacciante tristezza che stiamo provando. Ci manca terribilmente. Louise, Sam, Emily & Rory”.

 

Allan Holdsworth era nato nell’agosto del 1946. Si è spento il 16 aprile del 2017

PRO E CONTRO DEI VIRTUOSI DELLA CHITARRA

Allan Holdsworth è stato uno dei chitarristi più “estremi” e originali delle sei corde. Analizzare il suo stile, la sua tecnica e la sua importanza nell’evoluzione stilistica e tecnologica della chitarra non è cosa da poco. A mio avviso due sono le caratteristiche che colpiscono maggiormente quando si ascolta il chitarrista inglese: la prima riguarda indubbiamente il fraseggio influenzato da altri strumenti come il violino e il sassofono; la seconda peculiarità è il suono e la timbrica. Holdsworth avendo studiato da adolescente il violino è rimasto molto influenzato dal suono di tale strumento. Quando ha iniziato a suonare la chitarra (intorno ai 18 anni), ha tentato di riproporre la timbrica e la tecnica violinistica sulle sei corde. I risultati furono sorprendenti soprattutto nelle sue performances come session man nei dischi del batterista Bill Bruford, in due del violinista francese Jean Luc Ponty e nel primo album della band inglese degli UK del 1978 in cui militavano il tastierista-violinista Eddie Jobson, il bassista John Wetton e il batterista Bill Bruford. Nel brano di apertura “In the dead of night” il solo di Allan Holdworth è praticamente il manifesto del suo “chitarrismo” e del suo particolare approccio tecnico-strumentale. Il solo parte con una serie di note singole con un ottimo effetto di sustain che le “dilata” come se fosse un violino. Poi improvvisamente siamo quasi sommersi da una serie di scale velocissime in cui ogni singola nota è pulita e nitida. Lo stile di Allan Holdsworth è tutto qui: suono originale e padronanza assoluta della tastiera della chitarra. Il suo limite, se proprio vogliamo criticare questo straordinario musicista è che i suoi assoli sono a volte eccessivamente lunghi e caratterizzati da tantissime (forse troppe) note e scale eseguite ad una velocità che in un primo momento sbalordisce e che alla lunga possono annoiare l’ascoltatore. Un’altra critica che si può apportare ad Allan Holdsworth è che non è mai stato un gran compositore. Il meglio di se lo ha sempre dato quando ha suonato con altri musicisti. I suoi dischi solisti sono interessanti soprattutto per l’evoluzione tecnica e tecnologica dello strumento (come ad esempio l’impiego della Synthaxe). Due illustri colleghi di Holdsworth come Al Di Meola e John McLaughlin, entrambi caratterizzati da un fraseggio votato al virtuosismo più esasperato hanno però maggiori qualità compositive e un approccio più versatile sullo strumento. Soprattutto McLaughilin nel corso della sua lunga carriera ha esplorato diversi linguaggi come il blues, il rock, il jazz, il flamenco, la musica brasiliana, indiana e araba.

DISCOGRAFIA

Live
Collaborations
Compilations

With other artists

‘Igginbottom
Nucleus
  • 1972: Belladonna (released as a solo album by Ian Carr)
Tempest
Soft Machine
The New Tony Williams Lifetime
Pierre Moerlen’s Gong
Jean-Luc Ponty
Bill Bruford
U.K.
Krokus
Stanley Clarke
Chad Wackerman
Level 42
Derek Sherinian
  • 2005: Book of the Dead

Videos

  • 1992: REH Video: Allan Holdsworth (VHS, reissued on DVD in 2007)
  • 2002: Live at the Galaxy Theatre (DVD)
  • 2007: Live at Yoshi’s (DVD)

Books

ALLAN HOLDSWORTH, IL RICORDO DELLA RIVISTA “ACCORDO.IT”

di Maxventu

La tecnica di Holdsworth è quasi trascendentale, tanto quando suona in saturazione, quanto sui puliti. Al suo stile fatto di legati (un po’ diametralmente opposto allo sweep di Gambale, col quale comunque Holdworth molti anni fa incise un album dal premonitore titolo “Truth in Shredding”) si sono dichiaratamente ispirati molti Mostri sacri, tra tutti Edward Van Halen, che di Holdsworth dichiarò negli anni ottanta “con la sola mano sinistra suona cose che io non riesco a suonare usando due mani” (sulla tastiera della chitarra, ndr).
La tecnica particolarissima è stata, anni addietro, studiata ed imitata da schiere di chitarristi anche famosi, ma a mia conoscenza, ben pochi riescono ad avvicinarcisi. A questo proposito, mi sembra che, a differenza di tanti chitarristi il cui suond e/o fraseggio è più o meno imitabile con risultati credibili, non ho mai sentito nessuno riuscire ad imitare l’improvvisazione di Holdsworth per più di tre note in maniera credibile.
Tra i grandi chitarristi viventi (tutti quelli che leggono ricorderanno il compianto Alan Murphy), forse il solo Steve Vai, che ne ha trascritto molti soli, potrebbe essere paragonato, benché affatto diverso. Dicevo, lo stile: fluidissimo sui legati, velocissimo, tutte le note intelleggibili e con dinamiche molto controllate, quasi cercasse di rendere omogenee le note chiamate col plettro rispetto a quelle legate. Utilizzo molto contenuto della pentatonica, rifugge i licks e fa uso molto esteso dell’outside playing, privilegiando costantemente frasi cromaticamente complesse e la soluzione melodica ed armonica inaspettata. Sembra aver sviluppato un linguaggio ‘sui generis’: laddove la consuetudine ci porterebbe a suonare o ad aspettarci di sentire determinate soluzioni , cioè la frase o l’armonia che risolvono in modalità ‘standard’ secondo gli stilemi del bebop o del blues, ecco che Holdsworth piazza sempre l’accordo o la nota che, tra tanti, men che meno ci si sarebbe aspettati. Da questo punto di vista, emblematico il titolo di un metodo scritto da lui: “Reaching for the uncommon chord”.

Dal punto di vista della strumentazione, purtroppo da dov’ero io non si vedeva quasi nulla, se non due ampli combo Yamaha (sembrava di vedere dei controlli digitali sugli ampli ma non saprei dire di più), collegati ciascuno ad una piccola cassa e microfonati; Holdsworth manovrava alcuni pedali ed ha utilizzato una sola chitarra in tutta la sera, una piccola chitarra headless che qualcuno avrebbe potuto scambiare per una Steinberger od una Carvin, ma in realtà era palese a tutti trattarsi di una Bill DeLap piccolo guitar costruita su misura, scala corta, body in legno, forse maple, non saprei dire se manico avvitato o altro, né saprei dire sul body concavo (forse sì); un solo pickup humbucker al ponte; quest’ultimo uno Steinberger trans trem. Niente SynthAxe, purtroppo (ricordo che per diversi anni consecutivi ha ottenuto il “best synth guitar player” dall’omonima rivista americana).