John Cassavetes, l’inventore del cinema indipendente

Un’intensa immagine del regista e attore John Cassavetes

 

Analisi e riflessioni sul più geniale autore del cinema indipendente Usa scomparso nel 1989

 

“Per me i film hanno poca importanza. E’ la gente che è più importante”

(John Cassavetes)

“Cassavetes ha spazzato via il vecchio vocabolario cinematografico. Quando ho visto quello che faceva, è stato come un’illuminazione: ho capito che era possibile, che anche io potevo fare un film se lo volevo”

(Martin Scorsese)

Il suo lavoro è stato e resta straordinario. Siamo stati fortunati ad avere qualcuno come lui”

(Jim Jarmush)

Film come Una moglie e La sera della prima non soltanto offrono interpretazioni inarrivabili, ma sono anche innovativi nella forma. Vorrei poter fare film come quelli di Cassavetes, un giorno”

(James Franco)

 

di Alessandro Ceccarelli

Lezione di vita e di cinema

John Cassavetes è stato uno dei registi cinematografici più innovativi e sorprendenti degli ultimi cinquant’anni. I suoi film, purtroppo non molto conosciuti e apprezzati dal grande pubblico, hanno contribuito in maniera determinante all’evoluzione stilistica, estetica e esistenziale del modo di concepire una pellicola. Il cineasta newyorchese è il precursore e il protagonista assoluto della nascita del cinema indipendente (all’inizio degli anni ’60) che influenzò profondamente i registi ‘della nuova Hollywood’ come Coppola, Scorsese, Forman, Altman e Penn che emersero tra la fine degli anni ’60 e i primi anni del decennio successivo. John Cassavetes ha rivoluzionato l’arte cinematografica e il linguaggio immettendo il ‘concetto di improvvisazione’ durante le riprese (riproposto soprattutto da Robert Altman e Martin Scorsese). Per improvvisazione Cassavetes intendeva che gli attori fossero liberi di portare dettagli, espressività e battute che non erano scritte nel copione. Non diceva mai agli attori come dovevano recitare la scena. Prima delle riprese però parlare per ore ed ore delle caratteristiche del personaggio e del carattere. Altra caratteristica unica nel suo cinema era l’uso della camera a mano che seguiva da vicino il dramma interiore degli attori (soprattutto nel capolavoro “Faces” del 1968) che ha anticipato di quasi tre decenni il manifesto ‘Dogma 95’ dei registi Lars Von Trier e Thomas Vinterberg. Infine John Cassavetes oltre ad essere un artista eccezionale è stato un profondo amante e stimatore degli attori. Artisti come la moglie Gena Rowlands (forse la più grande attrice vivente), Peter Falk, Seymour Cassel, John Marley e Ben Gazzara hanno avuto con Cassavetes un rapporto umano ben al di là della professione. Lavorare con un simile cineasta era soprattutto una lezione di vita in cui si aveva chiaro il concetto di essere un uomo e un artista.

 

Una carriera dietro e davanti la macchina da presa

Per riuscire a finanziare i suoi film (impresa spesso difficile e complessa) John Cassavetes dovette lavorare anche come attore (un po’ come Orson Welles) in pellicole a volte mediocri. Con i soldi incassati per le sue splendide performance (ricordiamo almeno ‘Rosemary’s Baby’ di Roman Polanski, ‘Contratto per uccidere’ di Don Siegel, ‘Quella sporca dozzina’ di Robert Aldrich e ‘Di chi è la mia vita’ di John Badhan), Cassavetes potè girare i suoi film migliori come “Ombre”(1959), “Gli esclusi” (1963), “Volti” (1968), “Mariti” (1970), “Una moglie” (1974) e “La sera della prima” (1977) che altrimenti non sarebbero mai usciti nelle sale. Il regista non era amato dai grandi produttori di Hollywood. Celeberrima rimane la rissa con Stanley Kramer che gli chiuse le porte all’industria del cinema. I suoi film erano troppo complessi e innovativi per essere un business. Tra il 1951 e il 1989 (lavorò sino alla fine) recitò in ben 75 film per essere completamente libero di girare solo 12 film come regista e sceneggiatore. Il più alto incasso della sua carriera fu “Una moglie” che racimolò poco più di sei milioni di dollari, una cifra irrisoria rispetto alla media dei film hollywoodiani.

John Cassavetes con la moglie Gena Rowlands, una delle più grandi attrici cinematografiche viventi

Gli ultimi film della sua vita

Negli anni ’80 divenne sempre più difficile per John Cassavetes trovare i finanziamenti per realizzare i suoi film. Dal 1980 al 1989 (anno della sua scomparsa) il cineasta newyorchese riuscì a girare solo tre pellicole: “Gloria”, “Love Stream” e “Big Trouble”. Per il primo film Cassavetes vinse il Leone d’Oro alla Mostra di Venezia e ottenne lusinghieri consensi dalla critica e dal pubblico. Gli ultimi due furono girati invece tra enormi difficoltà con i produttori e soprattutto per il sopraggiungere della malattia che gli fu fatale. Durante le riprese di “Love streams” gli fu diagnosticato un tumore al fegato. Nel 1985 Cassavetes si aggravò e la malattia si rivelò incurabile. Il cineasta lottò sino al 3 febbraio del 1989 quando si spense a soli 59 anni al fianco del suo grande amore: Gena Rowlands, unica moglie della sua straordinaria vita.

 

Il regista con i suoi attori feticcio: da sinistra Peter Falk e al centro Ben Gazzarra

 

Filmografia:

Shadows (1959)

Too late blues (1961)

A child is waiting (1963)

Faces (1968)

Husbands (1970

Minnie and Moskowitz (1972)

A woman under the influence (1974)

The killing of a chinese bookie (1976)

Opening night (1977)

Gloria (1980)

Love streams (1983)

Big Trouble (1985)

 

JOHN CASSAVETES E L’AMORE

“Avere una filosofia significa sapere come amare e sapere a chi offrire questo amore, e se lo dispensi a tutti devi fare il prete che dice si figliolo o si figliola o Dio ti benedica. Ma la gente non vive in questo modo, si vive con la rabbia, l’ostilità, i problemi, con i pochi soldi; insomma delusioni terribili nel corso di una vita. Quindi quello di cui la gente ha bisogno sono dei principi, credo che ciò di cui tutti hanno bisogno si riassume in questo modo di dire: dove e come io posso amare posso essere innamorato, così io posso vivere in pace. Ed è per questo motivo che ho bisogno di personaggi per analizzare veramente l’amore, discuterlo, distruggerlo, annientarlo, ho bisogno che i protagonisti si facciano male l’un l’altro, che facciano tutto questo in quella guerra, in quella polemica di parole ed immagini che è la vita. Tutto il resto non mi riguarda veramente, può interessare ad altri ma io lo so, ho una idea fissa, tutto ciò che mi interessa è l’amore”.

 

Da non perdere il volume “Un’autobiografia postuma” (edito da Minimun fax, 534 pag. 18 euro) curata da Ray Carney che è uno dei maggiori studiosi dell’opera di Cassavetes. In questo libro taglia e cuce dichiarazioni, interviste, articoli, conversazioni in cui Cassavetes racconta la propria vita e i propri film. Carney inserisce poi numerosi passaggi di raccordo, che rendono la narrazione lineare.

John Cassavetes con il suo grande amico Peter Falk, attore di immenso talento

RIFLESSIONI SUL CINEMA DI JOHN CASSAVETES

“Il cinema di Cassavetes si distingueva, soprattutto in alcune sue sortite, per la natura indagatrice di una interiorità che non rimarca tanto la struttura psicologica della storia, quanto, piuttosto costituisce una ricerca nella sola direzione della statura umana dei suoi personaggi. In questo il regista americano aveva una rara capacità di tratteggiare il profilo psicologico dei protagonisti delle sue storie con segni decisi e senza sottintesi. Queste complesse strutturazioni dei personaggi hanno contribuito a formare quel cinema umanistico che è forse la principale caratteristica di John Cassavetes.

Tra questi film Una moglie è forse l’opera che più di ogni altra, insieme a Love streams, probabilmente, tocca e racconta, con profonda sensibilità umana, un rapporto d’amore intenso e incondizionato di un marito per la moglie che qui è sul bordo della follia. Il film è sicuramente erede di un cinema che aveva trovato, nei primi anni settanta, un humus politicamente favorevole sul quale crescere. Non vi è dubbio, a questo proposito, che il film di Cassavetes trovi un proprio ascendente diretto nel movimento femminista che costituiva in quegli anni una progressiva rivoluzione culturale, così come non vi è altrettanto dubbio che tra le pieghe della (quasi inesistente) storia siano visibili le prese di posizione dell’autore sulla famiglia e sulla sua consolidata e arcaica struttura”. (Tonino De Pace)

 

“Secondo Franco La Polla sono molti i critici che hanno evitato di formulare una definizione di cinema della beat generation, mentre altri hanno allargato enormemente le discriminanti confondendo le esperienze filmiche più diverse o addirittura tra loro contrastanti. Si commette infatti di frequente l’errore di associare Ombre di Cassavetes al fenomeno beat. Parker Tyler, certamente ironizzando, è stato esplicito: Ombre (1959 e 1960) non «è parte del da-da-da beat […] è giusto un altro film hollywoodiano». D’altra parte lo stesso Cassavetes si era espresso così su Hollywood in un modo che nessun beat avrebbe mai osato sottoscrivere: «Se avessi l’opportunità di fare quel che si dice un film artistico in un grande studio di produzione sarei sciocco a non farlo». Come bene spiega Ray Carney, «Cassavetes limita il nostro punto di vista. La percezione di una scena da parte del pubblico (sia otticamente che intellettualmente) non è di regola più accurata o meglio informata di quella di un personaggio all’interno di essa. In effetti, si dà spesso il caso […] che la visione di una scena o di un personaggio da parte del pubblico […] non solo sia più autorevole, ma nemmeno diversa da quella di un altro personaggio nella scena. Come osservatori, ci ritroviamo quasi esattamente nella situazione ottica e immaginativa di uno dei suoi personaggi di contorno». Sappiamo invece che il cinema beat ha sempre predicato l’espansione della visione o per meglio dire, «il punto di vista – precisa La Polla – può anche essere limitato, ma soltanto nel senso che esso può coincidere con quello di un personaggio specifico nel momento in cui la sua mente si sta espandendo oltre i limiti della visione del mondo stabilita dalla cultura dominante, e dunque essa trascende la soggettività della visione». Capita spesso nei film di Cassavetes che i personaggi escano fuori dalla composizione dell’inquadratura, siano scentrati e restino ai margini del quadro, oppure vengano ripetutamente “impallati” in una sorta di décadrage (disinquadratura) che, almeno inizialmente, sembra negare due caratteristiche fondamentali del cinema narrativo classico, ovvero la riconoscibilità e la possibilità di identificazione”. (Roberto Urbani)

 

«John Cassavetes è, già da tempo, un vero e proprio mito del cinema moderno. La sua scomparsa, il 3 febbraio 1989 a Los Angeles, lo ha confermato. Egli è forse, tra tutti i cineasti americani venuti alla ribalta negli ultimi trent’anni, quello che ha maggiormente colpito l’immaginario della cinefilia europea, anche al di là delle sue intenzioni. Era attore affascinante come pochi altri. Dava all’Europa un’immagine dell’America che il vecchio continente amava contemplare: l’indipendente, spiantato ma pieno di energia, in perenne lotta con l’enorme macchina capitalistica hollywoodiana.Manteneva una confusione esemplare tra la propria vita e la propria opera. […] Sono convinto che l’influenza di Cassavetes crescerà in futuro. È già stata decisiva per Martin Scorsese, Jean-François Stévenin, Jonathan Demme o Rob Nilsson. Jacques Rivette, dal canto suo, non fa mistero della sua ammirazione per Faces e ricorda perfettamente una celebre proiezione alla Cinémathèque nel 1968. Nanni Moretti sente oggi quanto le vibrazioni di Cassavetes lo attraversino. L’obiettivo fondamentale sarà quello di vedere e rivedere i film dopo anni, di sottrarli alla nostalgia e, soprattutto, di estrarne quel potenziale di contaminazione formidabile per chiunque percepisca in sé la pulsione del cinema. Con questo libro, la mia unica ambizione è di contribuire a questo obiettivo.( Thierry Jousse)