Cinema: Monica Vitti, l’esilio volontario di un’immensa attrice

Un’intensa espressione di Monica Vitti, uno delle più grandi attrici italiane di tutti i tempi

 

Attrice drammatica e brillante di immenso talento, produttrice, sceneggiatrice, regista e scrittrice, Monica Vitti è un’artista senza precedenti nel variegato universo del cinema italiano. La sua versatilità e la sua grazia fanno di lei un’assoluta eccezione tra le grandi attrici come Anna Magnani, Valentina Cortese, Sophia Loren e Claudia Cardinale. La sua prolungata assenza è un vuoto incolmabile. Restano per fortuna i suoi film, la sua recitazione, le sue interpretazioni, i suoi personaggi caratterizzati da una profonda umanità e da un intenso senso di angoscia dell’esistenza.

di Alessandro Ceccarelli

E’ una figura unica del panorama del cinema italiano, una protagonista assoluta per quasi quarant’anni di straordinaria carriera per il grande schermo. Dal 2002, come le grandi dive di un tempo, ha scelto di ritirarsi dalle scene. Stiamo parlando di Monica Vitti, il “Quinto colonnello della Commedia all’italiana. Nel corso della sua attività è passata dal registro drammatico (per Antonioni, Blasetti e Bunuel) a quello comico e grottesco (Scola, Monicelli, Salce, Sordi e Risi). Il suo sguardo profondo, la sua espressività e la sua inconfondibile voce roca hanno lasciato un indelebile segno nell’immaginario collettivo.

Monica Vitti (Maria Luisa Ceciarelli) nasce a Roma Il 3 novembre del 1931. Dopo aver vissuto la prima infanzia a Messina, debutta giovanissima al teatro nel 1946 con “La nemica” di Niccodemi. Nel 1953 si diploma all’Accademia di Arte Drammatica Silvio D’Amico. S’interessa al teatro interpretando Shakespeare e Molière. Nel 1954 debutta al cinema nel film “Ridere, ridere, ridere” di Edoardo Anton. Dopo “Una pelliccia di visone” (1956) e “Le dritte” (1958), avviene l’incontro che sarà la svolta della sua carriera. La giovane attrice viene notata da Michelangelo Antonioni che le dice: “Hai una bella voce, potresti fare la protagonista nel cinema”.

Con il grande regista ferrarese, la Vitti diventa una stella di prima grandezza grazie alla trilogia sull’incomunicabilità: “L’Avventura” (1960), “La notte” (1961) e “L’Eclisse” (1962). L’attrice dimostra una straordinaria espressività in un contesto di cinema intellettuale e colto, quasi metafisico che scatena non poche polemiche nella critica ufficiale. Dopo una pausa francese (lavora con Vadim e Baratier), torna con il compagno di vita Antonioni nel capolavoro “Il deserto rosso”(1964) che si aggiudica il Leone d’Oro a Venezia.

Dopo il riconoscimento internazionale come un’attrice drammatica di primissimo piano, Monica Vitti avverte l’esigenza di ampliare il suo registro e i suoi orizzonti recitativi. Entra in sintonia con registi brillanti come Luciano Salce (“Alta infedeltà”), Pasquale Festa Campanile (“Ti ho sposato per allegria”) e il grande Mario Monicelli (“La ragazza con la pistola”). Il trionfo di Monica Vitti come attrice comica esplode con “Dramma della gelosia”(1970) di Ettore Scola. La comicità innata e popolare dell’attrice sbalordisce la critica in un grande film in cui duetta alla pari con due “giganti” quali Marcello Mastroianni e Giancarlo Giannini.

Monica Vitti inizia un sodalizio artistico con Alberto Sordi, prima con “Amore mio aiutami” (1969), poi con “Le coppie” (1970) e soprattutto nello struggente “Polvere di stelle” (1973). La sintonia con Sordi è straordinaria: Monica Vitti è un continuo “vulcano” di battute, di sguardi e di espressività nel registro brillante. Negli anni ’70 l’attrice lavora nuovamente con Luciano Salce in “L’Anatra all’arancia”(1975), poi con Luigi Zampa “Letti selvaggi” (1979). Recita in “Il fantasma della libertà” (1974), capolavoro del cinema d’autore di Bunuel. Negli anni ’80 comincia a diradare il suo impegno per il cinema. La Vitti lavora con Corbucci (Non ti conosco più amore), Camera d’albergo di Monicelli e “Il mistero di Oberwald” di Michelangelo Antonioni. La sua ultima apparizione sul grande schermo è con “Scandalo segreto” (1990) di cui è anche regista e co-sceneggiatrice. Nel 1992 recita nella miniserie tv “Ma tu mi vuoi bene?” accanto a Johnny Dorelli.

Nel 1995 la grande attrice riceve il meritato Leone d’Oro alla carriera alla mostra del cinema di Venezia. In questo periodo gli viene diagnosticata una grave malattia degenerativa. La sua ultima apparizione pubblica è del marzo 2002 alla prima italiana di Notre-Dame de Paris. Poi si chiude in una sorta di esilio volontario come Mina, un’altra grande stella dello spettacolo italiano. Il suo volto, il suo sguardo, il suo fascino e la sua arte rimarranno per sempre nella storia del cinema europeo.

PENSIERI E RIFLESSIONI DI MONICA VITTI

“Dicono che il mondo è di chi si alza presto. Non è vero. Il mondo è di chi è felice di alzarsi.

Le attrici, diciamo bruttine, che oggi hanno successo in Italia lo devono a me. Sono io che ho sfondato la porta.

Scoprire di far ridere è stato come scoprire di essere la figlia del re.

Non mi poso mai sulle parole, ma sulle emozioni.

A letto succede di tutto.

I colori, i suoni, gli sguardi raccontano il nostro tragitto. Un colore mi può incantare, uno sguardo mi può innamorare, un sorriso mi fa sperare.

Le donne mi hanno sempre sorpresa: sono forti, hanno la speranza nel cuore e nell’avvenire.

La vita è un dono, non si può buttarla via, la si deve proteggere.

In amore è tutto da reinventare ogni volta; l’importante è non perdere la fantasia dei sentimenti.

Con il mare ho un rapporto travolgente, quando lo vedo muoversi, impazzire, calmarsi, cambiare colore, rotta, è il mio amante.

Mi sono sentita veramente libera quando ho scritto il mio primo libro.

La poesia è una grazia, una possibilità di staccarsi per un po’ dalla terra e sognare, volare, usare le parole come speranze, come occhi nuovi per reinventare quello che vediamo.

Faccio l’attrice per non morire, e quando a 14 anni e mezzo avevo quasi deciso di smettere di vivere, ho capito che potevo farcela, a continuare, solo fingendo di essere un altra, facendo ridere il più possibile.

La fantasia mi carica di emozioni, di desideri, di speranze. Tutte le donne dovrebbero scrivere per liberarsi dei fardelli che durante il tragitto non riescono a perdere.

Le ribellioni sono guerre, e si può restare feriti.

I poeti non cambiano, ma forse cambiamo noi e dobbiamo fare una strada intima per ritrovare la poesia nella quotidianità.

La mia giovinezza è il periodo che ricordo più spesso, anche se non è stato facile, ma pieno di parole che si confondevano con il teatro.

Mi sono sempre profondamente emozionata di fronte a un quadro, come un racconto, come una confessione, come un innamoramento. I colori, le linee, mi fanno battere il cuore e mi allontanano dalla quotidianità”.

Lo sguardo profondo di Monica Vitti

FILMOGRAFIA